È possibile ottenere un maggior equilibrio tra uomo e natura? Il genere umano ha preso il sopravvento su questo mondo e l’ha depauperato delle risorse naturali. A oggi, quasi la totalità dei mammiferi del pianeta è rappresentato dall’uomo e quelli ancora esistenti vivono in cattività o sono allevati dall’uomo con finalità alimentari.
Non va meglio al mondo vegetale: sono tante le specie di piante estinte o in via d’estinzione a causa delle attività umane. Ma alcune buone notizie ci sono: un paio guardano a noi da vicino, un’altra potrebbe avere interessanti sviluppi in un futuro non troppo lontano. Un futuro, chissà, spaziale! Vediamole una alla volta.
Diciassette specie di piante recuperate dall’estinzione
Un team di ricerca internazionale guidato da Thomas Abeli e Giulia Albani Rocchetti, ricercatori dell’Università Roma Tre, ha scoperto che 17 specie di piante europee ritenute estinte, in realtà non lo sono affatto. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Plants[1] riscrive in parte la storia ma attenzione a cadere in facili entusiasmi.
La scoperta, o per meglio dire la riscoperta, è stata possibile grazie ad un minuzioso lavoro di investigazione della squadra di scienziati che, da provetti Pollicino, sono stati in grado di seguire le tracce. Non è stato un lavoro semplice. I ricercatori hanno lavorato ad una revisione tassonomica delle 36 specie di piante endemiche europee ritenute estinte, oltre a rintracciarne la presenza in natura o in orti botanici mondiali, in alcuni casi. Da questa revisione, solo diciassette sono risultate ancora esistenti.
Di queste, tre specie sono state effettivamente riscoperte a seguito di ricerche di campo (Astragalus nitidiflorus Jiménez Mun. & Pau, Ligusticum albanicum Jávorska. e Ornithogalum visianicum Tomm. ex Vis.), per alcune sono stati ritrovati esemplari vivi, non noti, conservati presso orti botanici e banche del germoplasma europei (Armeria arcuata Welw. ex Boiss. & Reut., Hieracium hethlandie (F.Hanb.) Pugsley); altre ancora sono state riclassificate come specie diverse sulla base di nuovi dati[2].
Come accade frequentemente per le informazioni che circolano sul web, anche i ricercatori si sono imbattuti in informazioni poco attendibili, riportate senza una opportuna verifica. Purtroppo le altre 19 specie prese in considerazione in questa indagine sono perse per sempre: 9 tra queste sono proprio italiane. Questa non è una fake news.
Il ritrovamento che ha sollevato più scalpore all’interno del team è stato quello della Armeria arcuata, specie endemica del Portogallo, classificata come estinta da decenni e ritrovata presso l’Utrecht University Botanic Gardens. Per la conferma bisognerà attendere i risultati dell’indagine genetica.
Una ricerca importante per il mondo accademico ma soprattutto per l’ambiente poiché il ritrovamento di queste specie permetterà di salvaguardare la biodiversità nonostante non esistano più le condizioni ambientali favorevoli al loro mantenimento in natura.
La flora si riprende Chernobyl
Il 26 aprile 1986, alle prime luci dell’alba, esplodeva il reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, causando la morte di circa 30 mila persone. La popolazione è stata costretta ad abbandonare all’improvviso le proprie case ed ancora oggi permane il divieto di entrare nella zona di esclusione dal raggio di 30 km. Anche la natura ha risentito dell’incidente nucleare: 400 ettari di boschi divennero rossi, seccarono e morirono; i cani furono tutti abbattuti per non incorrere il rischio che fuoriuscissero dalla zona di pericolo.
Da quel giorno a Chernobyl tutto è rimasto immutato, fatta esclusione per il reattore stesso, attorno al quale è stato costruito un sarcofago in acciaio per bloccare le radiazioni al suo interno. I fuochi radioattivi, dicono gli esperti, continueranno a bruciare a 1000°C per altri cento anni.
A distanza di 35 anni, nella stessa area adesso svettano pioppi verdissimi, crescono folte betulle e al posto dei cani sono tornati i lupi[3].
L’uomo dovrà rimanere a distanza per altre centinaia di anni (nonostante tutto, secondo le autorità un migliaio di persone sarebbe tornato a vivere in quest’area senza autorizzazione) ma flora e fauna hanno ristabilito il proprio dominio. L’area attorno al reattore è stato oggetto di un progetto di rewilding e, ad oggi, è la terza riserva più grande d’Europa.
Le piante: un modello vincente
Gli studi ci dicono che le radiazioni sono in grado di modificare e distruggere il DNA degli animali (uomini inclusi) ma non quello delle piante. Non si sa quanto gli animali tornati a Chernobyl siano in grado di resistere, così come non si conoscono i livelli degli isotopi radioattivi della segale, dell’orzo e dell’avena cresciuti attorno alla centrale.
La differenza tra piante e animali sta nella capacità delle prime di produrre nuove cellule, sostituendo quelle attaccate dalle radiazioni. Stefano Mancuso, botanico e docente di Arboricoltura generale dell’Università di Firenze:
Noi abbiamo costruito le nostre società copiando solo il modello animale, che è minoritario. […] Le piante invece sono un modello diverso. Tutto è diffuso, decentrato: se una cellula si guasta, viene sostituita e la pianta non ne risente[4].
Stefano Mancuso
Insomma, a Chernobyl è successo ciò che abbiamo avuto modo di osservare a livello globale durante il periodo della prima quarantena da Coronavirus: la natura ha riacquistato il proprio spazio.
Batteri per far crescere le piante nello spazio
È possibile far crescere delle piante nello spazio? Da quello che hanno scoperto gli astronauti che si sono avvicendati nelle varie spedizioni sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) si può fare[5]. L’operazione sarebbe possibile grazie ad alcuni batteri, tre dei quali finora sconosciuti, recuperati da alcuni ambienti della stazione orbitante: luoghi in cui si consumano i pasti, moduli in cui vengono condotti esperimenti scientifici.
La ISS è un luogo a sé, isolato, e gli scienziati hanno impiegato anni per studiare centinaia di batteri. Quelli individuati di recente fanno parte della specie dei Methylobacterium: il ceppo già noto rientra tra i Methylorubrum rhodesianum, i tre nuovi, identificati grazie ad analisi genetica, sembrano imparentati con i Methylobacterium indicum. Con ogni probabilità queste nuove varianti saranno rinominate Methylobacterium ajmalii, in memoria dello scienziato indiano Muhammad Ajmal Khan, recentemente scomparso.
Si tratta di batteri non dannosi alla salute umana e che aiuterebbero le piante nel combattere gli agenti patogeni e nella crescita, in condizioni di alto stress e con risorse minime, come accade nello spazio.
Un insegnamento da trarre
Quello che questi studi dimostrano è che la natura, quando ne ha l’occasione, è in grado di recuperare i propri spazi, nonostante le condizioni avverse che è chiamata a superare. L’unico grande pericolo per quella che qualcuno ha definito “un’astronave blu” – il nostro pianeta – è il genere umano. Possiamo invertire la rotta? Potremmo se solo volessimo. Qualcuno ci sta già provando, come raccontiamo in questo articolo, ma ovviamente, nulla può un singolo se non è supportato dalla collettività.
[1] Abeli, T., Albani Rocchetti, G., Barina, Z. et al. “Seventeen ‘extinct’ plant species back to conservation attention in Europe”. Nat. Plants 7, 282–286 (2021). Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/s41477-021-00878-1?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+nplants%2Frss%2Fcurrent+%28Nature+Plants%29#citeas
[2] Roma Tre, “Biodiversità: recuperate 17 specie di piante europee credute estinte”, comunicato stampa, Roma, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.uniroma3.it/en/articoli/biodiversita-recuperate-17-specie-di-piante-europee-credute-estinte-159811/
[3] Corriere della Sera, “Chernobyl, Anno 35 dopo l’apocalisse. Le radiazioni sono ovunque ma le piante si sono riprese tutto”, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.corriere.it/pianeta2020/21_marzo_04/chernobyl-anno-35-l-apocalisse-radiazioni-sono-ovunque-ma-piante-si-sono-riprese-tutto-fdd10d1e-7a7f-11eb-bfba-4b97c2207ce7.shtml
[4] Ibidem.
[5] Bijlani S, Singh NK, Eedara VVR, Podile AR, Mason CE, Wang CCC and Venkateswaran K (2021) “Methylobacterium ajmalii sp. nov., Isolated From the International Space Station”. Front. Microbiol. 12:639396. doi: 10.3389/fmicb.2021.639396. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fmicb.2021.639396/full#refer1
Autore articolo
Martina Shalipour Jafari
Redattrice
Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
Instancabile lettrice e appassionata di cinema.
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