Se c’è un metodo per arginare il traffico illegale di rettili ed altri animali esotici le istituzioni non se ne stanno preoccupando. È questo che le organizzazioni non-profit in difesa della biodiversità e degli animali gridano a gran voce da anni senza che la politica raccolga il loro appello.
I primi a mettersi in discussione, però, da qualche tempo a questa parte sono i ricercatori che si occupano di tassonomia. Ogni qual volta la scoperta di una nuova specie animale, soprattutto rettile, viene pubblicata e pubblicizzata sulle riviste di settore, puntualmente finisce nel mirino dei trafficanti. Bastano pochi mesi per vedere queste nuove e rare specie sui banchi dei mercati per la vendita di animali in tutto il mondo. Alcuni chiedono a gran voce che si smetta di indicare luogo di origine e descrizione minuziosa di questi animali per evitare che finiscano in cattività, vittime del commercio illegale.
Traffico illegale di rettili e il confronto interno alla comunità scientifica
Secondo i dati sul commercio degli animali esotici, tra le specie rettili più ricercate ci sono i gechi, amati per le loro colorazioni particolari, le tartarughe ed i serpenti. I trader, così vengono chiamati i trafficanti, hanno imparato a sbirciare nella letteratura scientifica per stanare le nuove specie. Il tassonomista Yang Jianhuan, Senior Conservation Officer presso la Kadoorie Farm and Botanic Gardens di Hong Kong, dopo aver visto in vendita alcune delle nuove specie che aveva classificato, ha deciso di non pubblicare i dati sulla posizione di una nuova variante di Geniosaurus[1].
Proprio per questa loro rarità, le nuove specie sono un bottino ghiotto per i collezionisti di tutto il mondo che possono ordinarne degli esemplari tramite siti web. E ve ne sono davvero moltissimi di esempi che si potrebbero fare: il Gekko Takouensis del Vietnam centrale, scoperto nel 2010, era disponibile sul mercato a partire dallo stesso anno; lo scinco striato persiano (Eumeces persicus) scovato in Iran nel 2017, era in vendita dopo 3 mesi.
Ma il traffico non riguarda esclusivamente le nuove specie. Anche quelle riscoperte sono molto ambite e ricercate. Nel 2020 in un paper è stata pubblicata la notizia del rinvenimento, dopo 170 anni, di una lucertola nell’area di Sumatra, indicandone con precisione anche la collocazione geografica. Più volte è stato visto in quella zona un noto contrabbandiere condannato per questi reati, sicuramente in cerca del rettile. Probabilmente il Coronavirus deve aver rallentato anche questo mercato.
L’Europa e la Germania leader del traffico illegale di rettili
La Germania storicamente ha una grande tradizione sull’allevamento dei rettili a partire già dagli inizi del XIX secolo. Non è un caso, dunque, se la più grande fiera di rettili al mondo, la Terraristika, che si tiene quattro volte all’anno, venga organizzata ad Hamm, nei pressi di Dortmund. Durante questi eventi gli acquirenti possono trovare di tutto ma hanno anche la possibilità di andare a ritirare ordini effettuati online.
Una situazione permessa dalla mancanza di barriere e controllo commerciali interni all’Unione Europea: all’interno dell’area comunitaria non è illegale possedere e/o vendere questi animali. Purtroppo le istituzioni europee non sembrano essere interessate a legiferare in merito a questo settore a causa dell’esiguo numero di specie interessate dal fenomeno. Ma come gli scienziati suggeriscono, pur essendo poche – anche se come vedremo a breve non è così -, l’eliminazione di una specie dal proprio ambiente può causare squilibri all’interno dell’ecosistema che non possiamo prevedere.
Quello che gli scienziati chiedono e sperano di poter vedere realizzato anche nel vecchio continente è una legge simile al Lacey Act degli Stati Uniti. Secondo questa norma è vietato importare, trasportare, vendere o acquistare animali selvatici catturati, posseduti, trasportati o venduti in violazione delle leggi americane e del diritto straniero, ossia del Paese di origine.
Traffico illegale, i numeri del fenomeno
Nonostante dall’Unione europea si ritiene siano limitate le specie interessate da una ipotetica norma a protezione del traffico illegale, i dati dicono tutt’altro. Lo sfruttamento della fauna selvatica è, numeri alla mano, la seconda attività umana più dannosa per la biodiversità globale. A tutela degli animali vi è il regolamento CITES (Convention on International Trade of Endangered Species), entrato in vigore a metà degli anni ’70, che dovrebbe garantire l’utilizzo e la conservazione sostenibile delle popolazioni animali e vegetali del pianeta[2].
Il problema di questo meccanismo è che l’inserimento delle specie all’interno dell’elenco è lento e farraginoso e rischia di essere inefficace. Il più delle volte i trafficanti sono più lesti della burocrazia e per gli animali la protezione arriva troppo tardi. Ma comunque sarebbe inefficace. Spesso, nel corso dei controlli, la presenza di talune specie viene giustificata asserendo si tratti di esemplari cresciuti in cattività. Difficile provare il contrario.
Elencare una specie nell’Appendice I della CITES (che vieta tutti gli scambi tranne in circostanze eccezionali) o nell’Appendice II (che impone regole rigorose su qualsiasi commercio) può aiutare a fermare il contrabbando illegale di specie minacciate, ma queste procedure non sono semplici[3].
Gli scienziati hanno cercato di capire quante specie di rettili, tra quelle conosciute, sono vittime del commercio mondiale, partendo dalle ricerche online. L’indagine ha riguardato 151 siti di vendita online[4] di rettili, per cinque lingue diverse e 64.342 parole chiave individuate, tra nomi scientifici e comuni di 11.050 specie di rettili. Da 23.970 pagine è stata rilevata la presenza di 303.403 parole associate a rettili: restringendo il campo si è arrivati ad un elenco di 2.754 specie vendute online.
Ma non ci si è fermati qui. Incrociando questi dati del mercato online con le liste CITES e della RedList IUCN – la Lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura istituita nel 1948 – per tutti gli anni di interesse, si è arrivati a stilare una lista di 3.943 specie di rettili commercializzati, pari al 36% di tutte quelle esistenti al mondo.
Chi ha torto e chi ha ragione?
Gli accademici rimproverano ai colleghi che non vogliono più pubblicare i riferimenti sulle proprie scoperte, di trasgredire ad una delle promesse più importanti della scienza: la trasparenza. Alcuni suggeriscono di trovare un compromesso decidendo di pubblicare informazioni parziali solo per le specie più vulnerabili e di riservarsi la possibilità di condividerle solo all’interno della comunità scientifica. Che sia la scelta giusta? Staremo a vedere.
Mentre il mondo accademico discute su quale sia la migliore strategia, commercianti e collezionisti, la maggior parte dei quali reputa se stesso un ambientalista che tutela le specie animali facendole prosperare in cattività, continueranno ad arricchirsi sulle spalle degli animali.
Immagine di copertina: Foto di torstensimon da Pixabay.
[1] P. Toporov, “Reptile traffickers trawl scientific literature, target newly described species”, Mongabay, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://news.mongabay.com/2021/05/reptile-traffickers-trawl-scientific-literature-target-newly-described-species/?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=6ccb11b90e-briefing-dy-20210527&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-6ccb11b90e-46136706
[2] Ibidem.
[3] E.C. Alberts, “Stolen from the wild, rare reptiles and amphibians are freely traded in EU”, Mongabay, 2020. Consultabile al seguente indirizzo: https://news.mongabay.com/2020/09/stolen-from-the-wild-rare-reptiles-and-amphibians-are-freely-traded-in-eu/
[4] Marshall, BM, Strine, C. & Hughes, AC “Thousands of reptile species threatened by under-regulated global trade”. Nat Commun 11, 4738 (2020). https://doi.org/10.1038/s41467-020-18523-4
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Autore articolo
Martina Shalipour Jafari
Redattrice
Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
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