Non tutto il male vien per nuocere: così è successo che a seguito della pandemia da COVID-19, specialmente durante i mesi di lockdown, la Natura abbia ripreso il sopravvento sull’Uomo. Rintanati nelle nostre case, abbiamo visto animali selvatici avventurarsi nelle nostre città, beneficiando della nostra assenza. Poi, allo stesso modo, abbiamo riscoperto il cinguettio degli uccelli, ma anche e soprattutto i suoni degli oceani.
Proprio recentemente, infatti, a conclusione di una serie di ricerche, un gruppo internazionale di scienziati marini ha proclamato lo scorso 2020 “the year of the quiet ocean”, l’anno del silenzio degli oceani.
Il rumore oceanico antropogenico
È cosa nota, ormai, che alcune specie marine vivono e sopravvivono grazie a dei segnali sonori, ma se non lo sapevate, le balene, ad esempio, comunicano cantando – anche a lunghe distanze – e il progetto Google “AI for Social Good”, in collaborazione con la National Oceanic and Atmospheric Administration, ha da poco reso disponibili online – complice l’Intelligenza Artificiale – le registrazioni dei loro canti misteriosi.
Tuttavia, il rumore antropogenico sta iniziando a sovrastare i suoni degli oceani – i volumi dell’uno e dell’altro, infatti, si equivalgono già – e così sta succedendo che le larve nate in oceano aperto non riescano più a sentire il “richiamo di casa” della barriera corallina[1].
Ma cosa provoca tutto questo inquinamento acustico? Trasporto marittimo, edilizia marittima, operazioni militari, indagini sismiche marine, processi di trivellazione in mare aperto per l’estrazione del petrolio o del gas. È per questo, dunque, che nei primi mesi del 2020 al 60% di persone in lockdown e di attività in blocco ha corrisposto una riduzione pari al 20% del rumore oceanico antropogenico[2].
Un aprile tanto silenzioso quanto quello del 2020 non si ripresenterà per qualche decennio a venire (per fortuna e per sfortuna!).
L’anno del silenzio degli oceani
In realtà, le ricerche sono da ricondurre ad un esperimento (il nome inglese è quello di “International Quiet Ocean Experiment”) avviato ben prima della dichiarazione della pandemia, promosso, infatti, nel 2015 dal Direttore del “Program for the Human Environment” presso la Rockefeller University, Jesse H. Ausubel.
Per “auscultare” gli oceani, i ricercatori vi hanno sparso circa 200 idrofoni (strumenti per la raccolta di rumori, suoni o altre segnalazioni acustiche subacquee, impiegati anche per determinare la direzione di provenienza di quest’ultimi), il cui numero dovrebbe aumentare a circa 500.
L’intento è quello di migliorare la nostra attuale comprensione del paesaggio sonoro e degli effetti del suono sugli organismi marini, nonché quello di studiare il cambiamento avvenuto a seguito del diffondersi della pandemia da COVID-19 per capire come sia possibile raggiungere il giusto equilibrio tra Uomo e Natura.
Gli idrofoni, inoltre, serviranno alla realizzazione di una mappa che illustri globalmente il paesaggio sonoro marino e che metta in evidenza sia il percorso dei suoni delle rotte commerciali sia quello delle rotte di migrazione delle balene. Ma l’idea sarebbe anche quella di aumentare il nostro grado di consapevolezza del cambiamento climatico dandoci la possibilità, ad esempio, di ascoltare i suoni prodotti dal distaccarsi degli icebergs[3].
A proposito di cambiamento climatico o di inquinamento da microplastiche, certo, sarà difficile recuperare e ci vorrà del tempo, molto tempo, ma se abbassiamo il volume e facciamo meno rumore, la vita marina si fa sentire immediatamente[4]!
Sentire per vedere: la musica delle ragnatele
Nell’acqua, ma anche nell’aria: gli scienziati, infatti, hanno recentemente ideato una realtà audiovisiva virtuale grazie alla quale è possibile ascoltare le vibrazioni delle ragnatele convertite in suoni e così mettersi nei panni di un ragno, che, per lo più cieco, sfrutta le sue zampe e le vibrazioni percepite dalla sua sensibile ragnatela per catturare le sue prede.
Possiamo immaginare la ragnatela come un sensore, in base alle cui frequenze un ragno può anche mandare segnali o comunicare con altri della sua stessa specie.
Il team di scienziati, guidato dal Prof. Markus Buehler del Massachusetts Institute of Technology, ha utilizzato la tecnica del laser imaging per realizzare una mappa 3D di ragnatele, riproducendo il particolare modello della Cyrtophora citricola. Dopo aver individuato la frequenza della vibrazione di ogni filo di ragnatela, calcolandone le misure e l’elasticità, gli scienziati hanno convertito ciascuna di queste vibrazioni in suoni percepibili dall’orecchio umano [5].
Il team si è concesso qualche licenza artistica, come quella di utilizzare un sintetizzatore dal suono simile a quello di un’arpa.
Curiosi di “sentire cosa vede” un ragno? Allora fate play sul video!
[1] Cfr. Victoria Gill, “Noise pollution ‘drowns out ocean soundscape’”, BBC, 4 febbraio 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.bbc.com/news/science-environment-55939344.
[2] Ibidem.
[3] Cfr. Victoria Gill, “Ocean noise: Study to measure the oceans’ ‘year of quiet’”, BBC, 9 aprile 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.bbc.com/news/science-environment-56676820.
[4] Cfr. Victoria Gill, “Noise pollution ‘drowns out ocean soundscape’”, cit.
[5] Cfr. Ian Morse, “The frequencies of a vibrating spider web have been made into music”, New Scientist, 12 aprile 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.newscientist.com/article/2274185-the-frequencies-of-a-vibrating-spider-web-have-been-made-into-music/.
Consigli sul tema
Autore articolo
Federica Fiorletta
Redattrice
Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.