Written by 16:18 Home, Reviews

Stranger Things 4: pregi e difetti di una stagione da paura

L’inizio della fine della serie evento firmata Netflix

stranger things 4

Siamo arrivati alla conclusione di un viaggio iniziato nel lontano 2016, quando i fratelli Duffer hanno portato sul piccolo schermo Stranger Things
L’uscita del primo volume della quarta stagione segna l’inizio della fine per una serie che ha fatto scalpore e che ha portato lustro e onore alla piattaforma che per prima ha dato fiducia al progetto iniziale. Con Stranger Things, Netflix ha dimostrato di saper regalare contenuti di qualità, veri e propri eventi che resteranno scolpiti nell’immaginario di milioni di persone in tutto il mondo.

Stranger Things 4: la straordinaria potenza dei personaggi

La serie ha fatto davvero strada da quando ci ha presentato quattro ragazzini nerd in bicicletta alle prese con gli strani avvenimenti della città di Hawkins. 

Quello che salta immediatamente all’occhio in questa quarta stagione è la vena horror della serie, che viene portata al massimo da una scrittura molto più matura e brillante, in grado di alternare momenti divertenti ad attimi di pura angoscia. Ma il vero piglio di genialità risiede nei personaggi: carismatici, unici e ben caratterizzati, sono loro che, fin dalla prima stagione, hanno catturato l’attenzione delle audience ed è sempre a loro che la serie deve il suo grande successo.

 Sono tantissimi e il fatto che questa sia l’ultima stagione non ha impedito ai Duffer Brothers di introdurne di nuovi, come Eddie Munson e Argyle, che hanno fatto breccia nei nostri cuori dal primo momento che hanno aperto bocca, scalzando le nostre preferenze ormai consolidate da tempo. Oppure il genio Suzie, di cui veniamo a sapere finalmente di più, della sua famiglia e della sua vita. 

Da sempre Stranger Things è piena zeppa di personaggi, alcuni più presenti di altri, ma ciascuno di loro è stato magistralmente caratterizzato e, dunque, reso così realistico da suscitare un’affezione del pubblico che trova in loro il gancio emotivo dell’intera serie. Chi è che non ha pianto per Bob? E chi è che non ha sorriso insieme ad Alexei? Eppure, si tratta di personaggi di passaggio, ma talmente realistici e unici da restare memorabili anche a distanza di anni.

A rendere tutto ancora più interessante, poi, è l’evoluzione di ogni character: pur avendo sempre gli stessi protagonisti dall’inizio alla fine, abbiamo l’illusione che ci sia un continuo ricambio di personaggi. Steve non è più lo Steve della prima o della seconda stagione, come non lo è Hopper e come di certo non lo sono Undi e Mike. La crescita è una componente importante della serie e riguarda tanto i bambini quanto gli adulti e, forse, è anche per questo che riusciamo a immedesimarci così bene.

Stranger Things 4: ma quanto ci piacciono gli anni ’80?

La quarta stagione di Stranger Things ospita un nuovo (ma vecchio) nemico, Vecna.
Ancora una volta, la tradizione di D&D diventa il filtro attraverso cui vengono rielaborati gli strani avvenimenti di Hawkins. La serie ha fatto, fin dall’inizio, del citazionismo il suo marchio di fabbrica, regalando alle audience atmosfere e sensazioni trasmesse dai film di fantascienza cult anni ’70 e ’80, come I Goonies, Poltergeist, Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T. e molti altri. Inoltre, la presenza di Winona Ryder non fa che alimentare questo senso di bella nostalgia per un’epoca che continua a ritornare, come in un loop infinito, e che ha conquistato anche i target più giovani

Il volume uno di questa stagione non fa eccezione e stavolta l’ispirazione viene tutta dai generi gore, slasher e splatter horror anni ‘80, ma senza esasperazione di viscere esplose e sangue a fiotti. Fedele allo stampo dramedy, i Duffer Brothers si divertono a costellare il capitolo più dark della serie con riferimenti tratti da Star Wars – Episodio V, Nightmare, di cui l’attore Robert Englund è una guest star d’eccezione, avendo ricoperto nel film proprio il ruolo di Freddie Krueger; e ancora IT, Indiana Jones e il tempio maledetto, oppure Hellraiser, dichiarato dai due registi uno dei film più spaventosi visti in gioventù. 

È innegabile che gli anni ’80 abbiano una potenza seducente e ammaliante sull’immaginario collettivo e Stranger Things ha dato nuovo vigore a questa potenza, che ha avuto una risonanza incredibile nella moda, nel design, nella tecnologia, nell’editoria, nell’industria discografica, e la canzone di Kate Bush, Running Up That Hill, ne è un esempio concreto. 

Stranger Things 4: da una grande serie derivano lunghi episodi 

La differenza eclatante che salta immediatamente all’occhio è la durata degli episodi di quest’ultima stagione. Sono innegabilmente lunghissimi e, in alcuni casi, proibitivi tanto da annientare il consolidato binge watching alla Netflix. 
La “moda” degli episodi più lunghi del normale è un atteggiamento che sta prendendo piede nell’industria delle serie televisive, e anche in quella cinematografica, ormai da qualche tempo, in quanto si tende a ritenere che una serie dagli episodi di una durata maggiore abbia più qualità e spessore. 

Stranger Things 4 ha episodi che durano più di un’ora e l’ultimo a chiusura dell’intera serie durerà più di due ore. Viene da chiedersi, poi, se la scelta di dividere la stagione in due volumi, rilasciando gli episodi tutti insieme per ciascun volume, sia stata la decisione giusta per una serie-evento che avrebbe potuto generare ancora più interazioni di quante non ne abbia fatte con questa modalità. Il web si sarebbe riempito del chiacchiericcio e delle teorie dei fan sul nuovo episodio della settimana, si sarebbero evitati molti spoiler, avrebbero potuto creare un Fanta Stranger Things, generando così appuntamenti imperdibili e, soprattutto, condivisi

Insomma, che sia stata la scelta giusta oppure no, il mondo attende con ansia l’ultimo volume di una serie che ha insegnato molto alle nuove generazioni e che ha fatto tornare un po’ bambini quelle vecchie. Qualunque sia il gran finale, sarà stata una grandiosa avventura per tutti noi. 


Autore articolo

Sara Giovannoni

Sara Giovannoni

Redattrice

Copywriter pubblicitario, cinefila, nerd.
 Cerco di vivere la vita sempre con la curiosità e lo stupore di un bambino.
Amo scrivere delle cose che mi appassionano,
ecco perché spero di pubblicare, prima o poi, il mio libro sul Giappone.
 
Intanto keizoku wa chikara nari. 
Se volete, andate a cercare il significato!

(Visited 348 times, 1 visits today)
Close