Lo scorso 17 settembre fa il suo debutto Squid Game, serie sudcoreana lanciata da Netflix. Pochi giorni dopo i social networks si riempiono di commenti, immagini, meme, trasformando la serie in un fenomeno globale. Oggi, Squid Game è in lizza per superare gli attuali possessori del titolo di serie più vista al mondo sulla piattaforma, Bridgerton e Lupin. E il traguardo sta per essere superato a un ritmo mai visto prima (stando a quanto rilasciato dai vertici creativi di Netflix).
Squid Game: un’idea lunga nove anni
Chi avrebbe mai detto che una serie sudcoreana, non ancora doppiata, sarebbe diventata la serie più grande di sempre. Nessuno lo avrebbe detto.
Hwang Dong-hyuk, il creatore di Squid Game (letteralmente Gioco del calamaro), ha iniziato a lavorare alla sceneggiatura nel 2008 per poi interromperla bruscamente a causa di gravi problemi economici, che lo portarono a dover vendere anche il suo PC. Nonostante nel corso degli anni Hwang Dong-hyuk abbia raggiunto una discreta fama come regista, nessuno ha mai pensato di produrre Squid Game, considerato fin troppo estremo e cruento.
Una serie di vicende porta il protagonista, e altre 455 persone in crisi, a sancire un accordo surreale di partecipazione a una gara per poter ripagare i debiti accumulati. È difficile dire di più sulla trama senza fare spoiler, ma come viene mostrato anche nel trailer, la gara consisterà in più giochi che si riveleranno essere mortali per alcuni concorrenti. Ecco che quasi un decennio dopo Hwang Dong-hyuk si trova a dirigere ciascuno dei nove episodi del suo Squid Game, con un successo senza pari.
Squid Game: l’estetica della denuncia sociale
Possiamo fare una distinzione sostanziale tra Netflix e il suo principale competitor, Amazon Prime Video. Il primo punta sulla quantità, il secondo punta maggiormente sulla qualità dei contenuti. Questa volta però, come è già capitato in passato, Netflix è riuscita a tirare fuori dal cilindro un prodotto vincente sotto ogni punto di vista, tanto che lo stesso Jeff Bezos si è congratulato attraverso un Tweet. Dalla fluidità della scrittura al minimalismo efficace della scenografia. Dalla geometria della fotografia all’eccezionale bravura degli attori, per finire con la grande tematica che si cela dietro al risultato di un prodotto così accattivante.
Come rilasciato in un’intervista dallo stesso Hwang Dong-hyuk, Squid Game è “un’allegoria della società capitalista”, una denuncia sociale che affonda le radici nell’enorme divario tra ricchi e poveri in un Paese che sembra non accorgersene. Divario che con la crisi socio-sanitaria di Covid-19 si è spalancato ancora di più. Che sia in una serie televisiva o nella realtà, per molti la vita è un continuo gioco di sopravvivenza ed è proprio per trasmettere senza filtri questo messaggio, che il regista ha optato per far careggiare i disperati concorrenti in competizioni infantili: giochi di facile comprensione, con poche regole, proprio per non permettere allo spettatore di distogliere l’attenzione dalla vita dei personaggi, da chi sono davvero, dalle loro emozioni e da cosa li ha spinti ad accettare una follia simile.
Squid Game: Halloween è un buon momento per reclutare
Insomma, lo abbiamo visto con Parasite di Bong Joon-ho nel 2019 e lo vediamo oggi con Squid Game: l’urgenza di accendere un faro sul divario sociale ed economico è qualcosa a cui i creativi coreani non intendono rinunciare.
Intanto, qualcosa mi dice che quest’anno per Halloween (e non solo) ci saranno nuove tute rosse e nuove maschere sulla scena.
Autore articolo
Sara Giovannoni
Redattrice
Copywriter pubblicitario, cinefila, nerd.
Cerco di vivere la vita sempre con la curiosità e lo stupore di un bambino.
Amo scrivere delle cose che mi appassionano,
ecco perché spero di pubblicare, prima o poi, il mio libro sul Giappone.
Intanto keizoku wa chikara nari.
Se volete, andate a cercare il significato!