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Soul di Pete Docter e Kemp Powers (2020) – Un invito alla visione

Se cantassero, cosa canterebbero le anime?

Soul - film Pixar

Il 2020 ha ospitato troppe morti. L’emergenza sanitaria non ha fatto altro che ricordarci, quotidianamente, che esiste un limite oltre il quale la nostra esperienza sensibile non può trovare che un approdo. Quanto rumore ha prodotto la morte in questo anno terribile che, giorno dopo giorno, ha declinato percorsi esistenziali in cui la morte stessa era ed è, ad oggi, uno dei momenti attraverso cui è scandito il ritmo, numerico e cifrario da famigerata lista, delle nostre giornate?

Non è un caso, probabilmente, che in un periodo in cui non si fa altro che la conta, quotidiana ed estenuante, dei morti per Covid-19, la Pixar produca un capolavoro di straordinario impatto emotivo: Soul, film di animazione diretto da Pete Docter con la collaborazione di Kemp Powers, e che rappresenta il punto di approdo della Pixar Animation Studios di una lunga riflessione sul senso dell’esistenza e sulla morte inaugurata, già da diversi anni, con i bellissimi Inside Out (2015) ed Up (2009) dello stesso Pete Docter oppure, in tempi recentissimi, con Onward di Dan Scanlon (2020). 

La Pixar riflette sulla morte, la racconta, la anima e dà voce e corpo ad uno degli eventi più naturali e spaventosi che ci assilla fin dal momento in cui veniamo al mondo.

È possibile, quindi, raccontare la morte ad un pubblico di bambini ed adulti facendo in modo che entrambi possano percepirne sia la terribilità sia la meraviglia delle coincidenze e degli oltremondi che si celano dietro il momento del trapasso?

È possibile considerare l’esperienza della morte come un momento creativo attraverso cui riflettere sul senso del dolore e dell’elaborazione della perdita (Up), sul potere estremo dell’accettazione del mai più (Onward), sull’inevitabilità della fine di ogni cosa e sull’attimo stesso in cui la morte diviene elemento di riscatto sulle ingiustizie dell’esistenza umana (Soul)?

Franco Battiato, nel 2004, conclude il suo album Dieci Stratagemmi con una delle sue più belle canzoni, La porta dello spavento supremo, che recita nel testo composto dal filosofo Manlio Sgalambro: “Quello che c’è, ciò che verrà / ciò che siamo stati / e comunque andrà / tutto si dissolverà. / Nell’apparenza e nel reale / nel regno fisico o in quello astrale / tutto si dissolverà. / Sulle scogliere fissavo il mare / che biancheggiava nell’oscurità / tutto si dissolverà. / Bisognerà per forza / attraversare alla fine / la porta dello spavento supremo”.

Cosa si cela, quindi, dietro la porta dello spavento supremo? Qual è la natura dell’oltremondo? Oltre quelle scogliere dov’è possibile scrutare il mare che biancheggia, in lontananza, quanti infiniti oltremondi si nascondono, quasi a ricordarci che esiste, ancora, una possibilità per chi è scomparso per sempre? Ed ancora: esiste il per sempre? La morte è un infinito, un moto perpetuo, un incessante rumore indistinto che veicola, anche in vita, le nostre azioni quotidiane?

Per rispondere a tali complesse domande, Pete Docter – reduce da capolavori assoluti quali Inside Out e Up – crea uno spazio cinematografico in cui le anime sono in continuo collegamento (corrispondenza di amorosi sensi di matrice foscoliana?) con la Terra che diviene, nel film, uno dei mondi sconfinati che popolano la complessa cosmogonia dell’universo Pixar.

Soul è, pertanto, un film che racconta della morte improvvisa di un musicista e di un suono dell’anima che diviene, per il protagonista, il senso di un riscatto, un’occasione indimenticabile che non può deteriorarsi nel momento della morte. Soul è qualcosa di estremamente raro nel mondo del cinema di animazione. Certamente, la morte è sempre presente fin dai primi cortometraggi disneyani degli anni ’30, ma il rapporto con l’aldilà rappresenta, per i registi ed i produttori di casa Pixar, una vera e propria ossessione creativa. Tale poetica degli oltremondi e dell’aldilà come immagine di attraversamento e di riscatto è possibile riscontrarla anche nel meraviglioso Coco di Lee Unkrich e Adrian Molina (2017) in cui il piccolo Miguel – mosso da un suono e da una passione viscerale per il suo strumento musicale (la chitarra), proprio come accade per Joe Gardner in Soul (il protagonista del film di Docter è un pianista soul-jazz) – attraversa il mondo dei morti per un desiderio di riscatto, di verità e di autenticità.  

Le aspirazioni e le passioni dei protagonisti di Coco e Soul scardinano le dimensioni spazio-temporali e fanno in modo che i mondi lontanissimi (o vicinissimi) che ci aspettano dopo la morte stiano a testimoniare degli spazi psichedelici, densi di luci e colori vivissimi, in cui le azioni dei personaggi assumono le caratteristiche di una danza forgiata da luci ed ombre che ci traghetta verso la contemplazione dell’evento stesso della morte.

Oltre la porta dello spavento supremo si celano, quindi, infinite possibilità di riscatto, accettazione e convivenza con il dolore. C’è, quindi, lo spazio per il dolore nella psichedelia dell’universo Pixar dei vari oltremondi? Certamente, sì! Ed è proprio l’accettazione e l’attraversamento del dolore che spinge i personaggi ad azioni meravigliose.

In Soul, così come accade in altre produzioni pixariane, non è possibile compiere atti di pura e assoluta magia e meraviglia senza una concreta e serissima accettazione del dolore che, dal fondo di un animo ferito, si traghetta verso la superficie di un corpo che attraversa vari passaggi di stato: una progressiva sequela di trapassi.

Se le anime cantassero, quindi, cosa canterebbero? L’eterna e assoluta canzone delle infinite possibilità che si celano dietro la fine di ogni cosa. 

Immagine di copertina: Disney Plus.


[1] È molto probabile che ad Onward verrà dedicata una recensione in seguito. In questo film, anch’esso del 2020, l’esperienza della morte viene collegata al rapporto padre-figlio e, pertanto, la riflessione assume una natura duale che merita e necessita di un importante approfondimento, sempre sotto forma di invito alla visione. 

[2] Franco Battiato, La porta dello spavento supremo in Franco Battiato, Dieci Stratagemmi, 2004.

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Autore articolo

Ivano Capocciama - autore

Ivano Capocciama

Regista e insegnante

Insegnante di lettere, studioso di teatro, mi occupo di regia e drammaturgia. Il mio lavoro artistico passa attraverso la letteratura drammatica moderna e contemporanea, la storiografia teatrale europea, i Teatri Laboratorio, l’Antropologia Teatrale e, soprattutto, i rapporti tra drammaturgia e spettacolo. Dal 2004 collaboro con vari istituti scolastici e scuole di recitazione, in qualità di regista, insegnante di movimento scenico, training attoriale, pratiche di messa in scena e studi di arte scenica per cantanti lirici.

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