La Colombia ha più specie animali e vegetali per km2 di qualsiasi altro posto al mondo. Secondo l’ornitologo statunitense Frank Chapman, ad inizio XX secolo – quando il suo team era operativo sul territorio – non sarebbero bastati 5 anni di ricerca per mappare tutta la fauna di una singola montagna colombiana[1].
Alcuni ricercatori colombiani si sono lanciati nell’impresa di ripetere la sua stessa opera di monitoraggio, punto di riferimento per gli ornitologi di tutto il mondo.
Gli studiosi si sono dunque attivati sullo stesso territorio esplorato e catalogato da Chapman tra il 1911 e il 1915, per indagare l’impatto che guerra, industrializzazione e riscaldamento globale hanno avuto sul paesaggio e sulla biodiversità a distanza di più di 100 anni. Con la piccola grande differenza che nessuno degli uccelli, questa volta, verrà esposto in un museo all’estero, come accadde allora.
Gli errori che sono stati commessi in passato
Frank Chapman e i suoi 5 collaboratori, infatti, fecero bottino di quasi 16 mila uccelli, impagliandoli ed esponendoli presso il Museo di Storia Naturale di New York, senza dare spiegazioni né credito alla popolazione locale. Ti piacerebbe se qualcuno venisse a casa tua e scattasse delle foto senza averti chiesto il permesso? E che se ne andasse senza averti detto nulla di quanto scoperto? Probabilmente no. Ma è un esempio, attualizzato, di quanto è esattamente successo.
Senza l’aiuto di guide locali, conoscitrici esperte della Colombia, è difficile che il team di ricerca di Chapman avrebbe riportato a casa lo stesso grande successo.
Tuttavia, i registri dell’ornitologo non menzionano quasi mai i locali e se lo fanno, ci dice una ricercatrice dell’Università della California e partner del progetto di ri-monitoraggio, i toni sono piuttosto razzisti o comunque dispregiativi[2]. Secondo la ricercatrice, Chapman sarebbe stato mosso dal bisogno egoistico di soddisfare la sua stessa curiosità, da un interesse di arricchimento del suo personale intelletto scientifico e anche della collezione del museo newyorkese, senza riguardo alcuno, però, per le popolazioni più lontane, men che meno per quella locale. Un’opinione forse un po’ estrema? Lungi da noi giudicare.
Il nuovo vecchio progetto
Gli scienziati colombiani sognavo ormai da diversi decenni di poter intraprendere una tale impresa, ma i lavori di ricerca sono iniziati solo più recentemente per via del fatto che diverse aree del territorio sono rimaste inaccessibili per lungo tempo a causa di conflitti armati. Solamente nel 2016, infatti, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (le FARC) hanno permesso con un accordo di pace di riaprire alle esplorazioni alcune delle regioni più remote del territorio colombiano. Esplorazioni che è stato possibile far ripartire anche e soprattutto grazie a una serie di finanziamenti nazionali e donazioni internazionali.
Il “Colombia Resurvey Project” è stato lanciato ufficialmente nel 2019. L’obiettivo principale del progetto è il censimento delle varie specie di uccelli, delle quali si stanno raccogliendo anche campioni di DNA e di tessuto, in modo tale da poter comparare le specie di oggi con quelle dell’epoca di Frank Chapman. Finora sono state condotte 6 spedizioni, ritornando in 14 dei siti già visitati ad inizio XX secolo. Ne restano ancora 60.
Ma cosa è cambiato rispetto al passato?
Sebbene la Colombia ospiti ancora attualmente il 10% di tutta la biodiversità mondiale, quanto ci si ritrova davanti oggigiorno è ben diverso da quanto visto dagli occhi dell’ornitologo statunitense. Buona parte delle foreste vergini, ad esempio, è stata sostituita da pascoli talmente uniformi da sembrare più campi da golf. I sentieri sono diventati vere e proprie strade, mentre i cambiamenti climatici hanno spinto gli uccelli verso altezze più elevate, incidendo anche sui loro flussi migratori.
Alcuni esemplari, tra cui il corvo beccafrutta golarossa (Pyroderus scutatus), non si trovano nemmeno più. Quest’ultimo, ad esempio, sarebbe scomparso – ci dicono i ricercatori – semplicemente perché ad un certo punto si è deciso di sostituire i suoi alberi con coltivazioni di avocado.
Così, dunque, tutte quelle specie capaci di sopravvivere in un unico ecosistema sarebbero state rimpiazzate da altre specie con una maggiore capacità di adattamento. A discapito, però, della biodiversità del paese. Pertanto, ci si auspica che tutti i dati che verranno pian piano raccolti possano tornare utili in futuro per capire come preservarla, cercando di arrestarne la pericolosa perdita.
Contribuire alla decolonizzazione della Ricerca
Gli studiosi hanno deciso di adottare un approccio dichiaratamente anti-colonialista. Sarà nuovamente necessario uccidere degli uccelli, ma questa volta almeno i ricercatori si stanno preoccupando di metterne al corrente anche le comunità locali, spiegando loro il perché e l’importanza di una tale modalità d’azione.
Gli esemplari “sacrificati” verranno conservati presso l’Università Nazionale della Colombia e catalogati online. Chiunque potrà così collegarsi ad un apposito sito internet e ascoltare il loro canto o seguire il percorso degli esploratori lungo una mappa interattiva.
Collaborando con le comunità locali, inoltre, gli studiosi potranno avvantaggiarsi della ricchezza del loro sapere, tramandato di generazione in generazione. In cambio, si sono messi a disposizione per istruire tutti i membri delle suddette comunità che siano interessati sul come identificare scientificamente i vari uccelli.
Si tratta anche di una mossa preventiva. Il controllo di alcune aree sta infatti passando dalle mani delle FARC ad altri gruppi di guerriglia, che potrebbero precludere l’accesso ai loro territori a tutti i non residenti. Al di là della buona riuscita di questo progetto, consapevolizzare e responsabilizzare la popolazione locale è senz’altro una mossa imprescindibile alla sopravvivenza del nostro pianeta.
Il triste record colombiano
Oltre a quello per numero di specie animali e vegetali, però, la Colombia può “vantare” anche un altro primato: quello di paese più pericoloso al mondo per gli attivisti, sia ambientali che sociali. Secondo Global Witness, una ONG per i diritti umani, nel 2020 ne sono stati uccisi 65. Breiner David Cucuñame, morto lo scorso 14 gennaio, aveva solamente 14 anni.
Il numero delle uccisioni in Colombia equivale a quasi ⅓ del totale mondiale, che nel 2020 ha stabilito un nuovo record toccando quota 227 morti. Gruppi criminali, guerriglieri e paramilitari, fondamentalmente coinvolti in traffici di droga, ne sono i responsabili. Tuttavia, secondo gli stessi esponenti di Global Witness, il governo colombiano, sebbene si professi impegnato nel garantire protezione e sicurezza per i suoi cittadini, fa in realtà ben poco per tutelare adeguatamente i suoi attivisti[3].
[1] Cfr. Luke Taylor, “Landmark Colombian bird study repeated to right colonial-era wrongs”, Nature, 11 gennaio 2022. Consultabile al seguente indirizzo https://www.nature.com/articles/d41586-021-03527-x?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=5e9a2252f2-briefing-dy-20220112&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-5e9a2252f2-46136706.
[2] Cfr. ibidem.
[3] Oliver Griffin, “Killings of Colombia environmental activists hit record, NGO says, despite gov’t promises”, Reuters, 14 settembre 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.reuters.com/world/americas/killings-colombia-environmental-activists-hit-record-ngo-says-despite-govt-2021-09-13/.
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Autore articolo
Federica Fiorletta
Redattrice
Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.