Perché abbiamo così paura delle iniezioni? Ce lo stiamo domandando soprattutto negli ultimi tempi con il lancio della più grande vaccinazione di massa della storia umana contro il Coronavirus. A tal proposito può risultare interessante effettuare una valutazione a livello storico e antropologico. Parliamo di una disciplina, quella dell’antropologia medica, che unisce lo studio e la conoscenza dell’uomo come essere culturale in associazione al concetto di salute e di malattia.
Un sistema medico abbraccia tutte le credenze, le azioni, le conoscenze scientifiche e le tecniche che promuovono la salute dei membri di un gruppo che sottoscrivono il sistema. […] Le varie teorie della malattia non possono essere capite prescindendo da una comprensione della cultura e della struttura sociale dei gruppi che le veicolano[1].
Insomma, c’è una spiegazione storica ed antropologica se preferiamo l’assunzione di compresse alla somministrazione di farmaci per iniezione…
Paura delle iniezioni: cosa ci dice il passato
Il campo dell’automedicazione non è così recente quanto saremmo portati a pensare. Fin dai primi albori delle società umane, l’uomo ha studiato e sviluppato tutta una serie di strumenti per la somministrazione di composti con funzione medica. Come la Dottoressa Monica Smith afferma in un suo articolo apparso sulla rivista Sapiens[2], il modo in cui nel tempo abbiamo sviluppato e realizzato questi sistemi di somministrazione determina il livello di confidenza e comfort nell’assunzione di un certo medicamento.
A livello puramente storico e archeologico, l’uso delle erbe mediche ha avuto inizio prima della coltivazione domestica delle piante. Già nei primi tentativi di scrittura su argilla si rintracciano ricette per la realizzazione di farmaci. In documenti datati 3.600 anni fa e risalenti all’Antico Egitto, si parla di ricette a base del frutto di hemayet.
Nel 1991, col ritrovamento sulle Alpi italiane dei resti mummificati dell’ominide chiamato Ötzi – risalente all’età del rame – sono stati rinvenuti pezzi di Piptoporus betulinus utile a lavare i parassiti intestinali. Non si parla solo di umani: anche tra i primati l’automedicazione è una pratica consolidata.
L’evoluzione dei farmaci: dai tatuaggi alle moderne iniezioni
Per secoli la salute è stata considerata uno stato a cui ritornare in caso di insorgenza di una malattia e non come una condizione da cercare di preservare. Il concetto di prevenzione, infatti, è relativamente recente: quella del curarsi quando si sta male è una pratica più semplice da interiorizzare rispetto a quella di assumere dei farmaci, come i vaccini, in maniera preventiva, quando si è in salute.
Eppure qualche caso nella storia esiste comunque. Ci riferiamo, ad esempio, all’uso dei tatuaggi in alcune tribù, le quali sceglievano di introdurre sottopelle dei composti terapeutici in grado di mantenere il soggetto in salute in maniera preventiva. O ancora, alcuni ritenevano che inocularsi tracce di malattia nell’organismo aiutasse a proteggersi dalla stessa: le prime evidenze si rintracciano nel ‘500 nell’Impero Ottomano.
Ed è così che solo quasi tre secoli più tardi, in Europa è stato sviluppato il primo vaccino contro il vaiolo; qualche decennio dopo, nel 1850, è stata la volta della prima siringa ipodermica. E con la modernità è arrivato anche un nuovo concetto di malattia.
Da quando Cartesio ha proposto di considerare il corpo come una macchina, la malattia è diventata per noi, cultori delle idee «chiare e distinte», un guasto nell’ingranaggio. Il pensiero scientifico considera «spiegata» la malattia quando essa può essere ricondotta alle cause della disfunzione: un microbo o una rottura dell’equilibrio omeostatico, un disordine a livello degli scambi biochimici o della struttura genetica[3].
Vaccini: pay-now, play-later
Ciò che rende maggiormente indigeste le iniezioni, e di riflesso anche i vaccini, a gran parte di noi sta nella modalità stessa di somministrazione. Il fatto di decidere autonomamente di inocularsi un farmaco quando si è in salute è controintuitivo oltre che storicamente un concetto recente. Mentre, come abbiamo visto, l’automedicazione affonda le proprie radici in millenni di storia evolutiva umana, quella dell’iniezione è una pratica risalente solo al XIX secolo.
C’è da dire anche che nel caso dei vaccini c’è bisogno di mettere in campo una competenza in più, ossia quella di immaginare potenziali benefici futuri: pay-now, play-later. Una capacità di previsione del futuro che non riguarda solo la salute ma anche l’istruzione, i cambiamenti climatici, la pensione.
Ma ci sono anche altri elementi da considerare. Ricevere una iniezione, nella maggior parte dei casi, significa che ci si deve affidare ad altri per un trattamento ritenuto invasivo e che deve essere effettuato in delle strutture sanitarie. Ingerire una pillola, oltre ad essere più facile, rientra nelle attività di automedicazione che ci fanno sentire autonomi e responsabili del nostro stato di salute.
Andare incontro al paziente
Se è vero che il genere umano ha problemi con gli aghi perché non realizzare dei farmaci ingeribili anziché inoculabili? In realtà il settore della bioingegneria si è attivato da tempo ed alcuni farmaci sono stati trasformati in compresse per facilitarne l’assunzione. Ma non si tratta solo di forma. La comunicazione sta sviluppando una maggiore sensibilità nel creare un nuovo immaginario attorno all’uso delle siringhe. Sarà sufficiente a placare il terrore che tanti nutrono nei loro confronti?
Immagine di copertina: Foto di Rūdolfs Klintsons da Pexels.
[1] P. L. Entralgo, “Antropologia medica”, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988, pp. 5-15. Consultabile al seguente indirizzo: https://sandrospinsanti.eu/book/antropologia-medica/
[2] M. L. Smith, “What Makes Injections Hard to Swallow?”, Sapiens, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.sapiens.org/archaeology/history-injections/?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=cb18b1c8d3-briefing-dy-20210525&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-cb18b1c8d3-46136706
[3] D. Beck, “La malattia come autoguarigione. Le malattie somatiche come tentativo di guarigione psichica”, Psicoguide, Cittadella Editrice, Assisi 1985, pp. 5-14. Consultabile al seguente indirizzo: https://sandrospinsanti.eu/book/la-malattia-come-autoguarigione/
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Autore articolo
Martina Shalipour Jafari
Redattrice
Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
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