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Novecento di Bernardo Bertolucci (1976) – Un invito alla visione

Due amici, la storia e un treno

Novecento - Bernardo Bertolucci

Due amici attraversano i binari prima che il treno arrivi a falciare, probabilmente, il corpo di uno di loro. Due amici inseparabili, come nelle favole, che si muovono, da vecchi, tentando di ritrovare se stessi attraverso un abbraccio: Olmo e Alfredo, il povero e il ricco, il contadino e il padrone, due paradigmi di un tempo che divide i loro destini, li frantuma e li proietta verso una dimensione ossimorica dell’esperienza della storia.

Nel finale misterioso di Novecento (1976), è come se Bernardo Bertolucci avesse voluto spalancare i battenti di un varco spazio-temporale in cui la dinamica dell’amicizia si proietta in una vecchiaia crepuscolare dove Olmo e Alfredo, protagonisti di uno degli indiscussi capolavori della cinematografia italiana, si danno a delle azioni infantili che si concludono sui binari della ferrovia con fare che sembra preludere ad una soluzione suicida ma che, in realtà, spalancano le porte al passato, all’infanzia abbandonata proprio su quei binari, ad una contemplazione estatica di un prima che si ripercuote, ciclicamente, nel dopo della Storia. Lo stesso Pier Paolo Pasolini parla, nella poesia Io sono una forza del passato, del Dopostoria: “[…] O guardo i crepuscoli, le mattine / su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, / come i primi atti della Dopostoria, / cui io assisto, per privilegio / d’anagrafe, / dall’orlo estremo di qualche età / sepolta […]”.

Il finale del capolavoro epico di Bertolucci rappresenta, pertanto, quella dimensione post-storica che attende una umanità che, probabilmente, attraverserà il progresso o si lascerà attraversare da esso (il treno) facendo sì che tutto possa concludersi in un ritorno del passato che aleggia, dalle nubi del tempo, come il gioco spettrale di una tragica epifania: la ciclicità delle ingiustizie sociali.

Novecento, pertanto, è un film crepuscolare che principia in un tramonto del 1900 – anno cruciale di inizio secolo e coincidente con la morte di Giuseppe Verdi e della nascita, in simultanea, di Olmo Dalcò e Alfredo Berlinghieri, il figlio del contadino e il figlio del padrone – e si conclude con un tramonto del 1945 in cui l’Italia viene liberata dalla tirannide nazifascista grazie all’azione armata della Resistenza partigiana. Novecento è un secolo sospeso tra due crepuscoli che si tinge di una luce oscillante tra il giallo e il rossastro, una luce che tinge di impressionistica parvenza iconografica le azioni, gli spazi e gli eventi storici che la pellicola ripercorre, scandendo la narrazione in due atti di stampo dichiaratamente teatrale e melodrammatico (Atto Primo e Atto Secondo) in cui la vita dei due amici inseparabili e fortemente antitetici viene a manifestarsi davanti agli occhi dello spettatore del 1976 e degli anni a seguire.

Novecento - locandina

La tinta iconografica del grande affresco novecentesco fa sì che la dimensione affettiva evocata dal rapporto tra Olmo (Gérard Depardieu) e Alfredo (Robert De Niro) attraversi la Storia in parziale opposizione al grande conflitto tra servi e padroni, tra proletariato e aristocrazia, tra Comunismo e Fascismo. L’amicizia non tende, però, a creare uno spazio conciliatorio e democraticamente rilevante tra due universi contrastanti, bensì essa si manifesta come strumento narrativo di spiccato carattere nostalgico che veicola e accompagna il racconto filmico, lasciando convergere i destini dei due protagonisti all’interno del grande meccanismo della Storia.

È proprio la Storia, quindi, che genera e ri-genera continuamente il rapporto antico tra due individualità tenute a distanza dalle rispettive condizioni sociali: Olmo non può vivere senza Alfredo. Di conseguenza, Alfredo non può stare senza Olmo.

Novecento è, anche, una storia d’amore tra due individualità che si muovono in direzioni ostinate e contrarie, volendo parafrasare Fabrizio De André, mentre la Storia varca in maniera inarrestabile e tragicamente dinamica i quarantacinque anni che il racconto attraversa, sintetizzati nei due atti che declinano la narrazione. La Storia ha creato una frattura inconciliabile tra Olmo e Alfredo, ma la loro storia d’amore e d’amicizia si inserisce nella dimensione storica tradendo e creando un gap temporale di netta opposizione. L’amicizia tra Olmo e Alfredo è antistorica, in quanto si contrappone alle dinamiche sociali innescate dagli anni che il film racconta.

È possibile sostenere, con una certa audacia, che Novecento di Bertolucci si sviluppa attraverso tre diversi piani narrativi: il piano diacronico della Storia (1900-1945), la narrazione cinematografica (la divisione del film in due atti: il film ha una durata complessiva di 308 minuti) e il piano sincronico dell’amicizia tra Olmo e Alfredo che, seppur declinata cinematograficamente nel primo e nel secondo atto, si inserisce tra le pieghe della Storia generando una inevitabile sequela di forze oppositive. Tali forze veicolano quella dimensione affettiva di cui già si è parlato all’inizio dell’articolo e che caratterizza l’evolversi di una dimensione mitica, primordiale, antica e regressiva che si condensa nell’enigmatico finale in cui tutto ritorna ciclicamente in una sorta di loop cronologico che eterna la relazione tra i personaggi.

Il terzo livello narrativo prevarica sulla Storia e ne violenta la dinamicità diacronica: il piano sincronico dell’affettività condensa e chiude la Storia in un ritorno infinito: la rêverie di un passato antico si ricollega ad un presente in cui il progresso avanza, con forza incandescente, a ricordarci quanto sia fragile e, allo stesso tempo, infinita il mondo sublime degli affetti.

Nella poesia Amici, non ci sono amici, Manlio Sgalambro scrive: “[…] Le imprese straordinarie di un eroe / i mille astuti agguati di un bandito / sono meno complicati del gesto / di un amico. / La scoperta di un nuovo continente / l’irresistibile ascesa di un capo, / il pianto sfrenato di una vedova, / nulla sono in confronto al gesto / di un amico […]”.  

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Autore articolo

Ivano Capocciama - autore

Ivano Capocciama

Regista e insegnante

Insegnante di lettere, studioso di teatro, mi occupo di regia e drammaturgia. Il mio lavoro artistico passa attraverso la letteratura drammatica moderna e contemporanea, la storiografia teatrale europea, i Teatri Laboratorio, l’Antropologia Teatrale e, soprattutto, i rapporti tra drammaturgia e spettacolo. Dal 2004 collaboro con vari istituti scolastici e scuole di recitazione, in qualità di regista, insegnante di movimento scenico, training attoriale, pratiche di messa in scena e studi di arte scenica per cantanti lirici.

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