Avete mai sentito parlare dell’Oceano Paratetide? A dispetto del nome (dovuto al fatto che alcuni studiosi sostengono si sia trattato di un mare interno), si tratta, invece, del lago più grande che sia mai esistito.
Quest’ultimo è stato oggetto di studio di un paper pubblicato su Scientific Reports lo scorso 1 giugno, di cui ha poi parlato anche la rivista Science[1]. Un team di ricercatori guidato dal paleo-oceanografo Dan Palcu dell’Università di San Paolo, infatti, ne ha recentemente ricostruito la timeline. Grazie ad una combinazione di indizi raccolti da reperti fossili e geologici, dunque, ne conosciamo ormai l’ascesa, ma anche il declino: responsabili i cambiamenti climatici.
Gli stessi cambiamenti climatici che, anche oggi, stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza di molti laghi, più o meno grandi, sulla Terra.
Il megalago Paratetide
All’origine dell’Oceano Paratetide c’è lo scontro tra le placche continentali, avvenuto 12 milioni di anni fa. Il megalago si estendeva dalle Alpi orientali all’odierno Kazakistan, con un’area pari a più di 2,8 milioni di km2 (per renderci conto, più vasta dell’odierno Mar Mediterraneo). Stando ai calcoli dei ricercatori, il lago avrebbe dovuto contenere oltre 1,77 milioni di km3 di acqua, una quantità equivalente al volume di tutti i laghi moderni, d’acqua sia dolce che salata, moltiplicato per più di 10 volte.
Nel corso dei suoi 5 milioni di anni di vita, però, l’Oceano Paratetide ha attraversato 4 drastiche fasi di restrizione, durante la peggiore delle quali il lago avrebbe perso ⅓ della sua acqua e oltre ⅔ della sua superficie. A seguito di questi straordinari episodi di contrazione, nel bacino centrale del megalago (corrispondente grossomodo all’odierno Mar Nero), il livello di concentrazione di sali nell’acqua è schizzato a tal punto da superare persino la salinità del mare.
Il megalago e la sua fauna
Mettere a dura prova l’esistenza di un lago, ovviamente, significa anche mettere a dura prova la sopravvivenza della sua fauna e della sua flora. Come conseguenza degli allora cambiamenti climatici, infatti, molte specie acquatiche, tra cui numerose varietà di alghe unicellulari e altri esemplari di plancton, sono scomparse. Restarono in vita tutte quelle creature capaci di sopravvivere nell’acqua salmastra, come i molluschi, che ripopolarono il megalago durante le stagioni piovose.
Così, l’Oceano Paratetide è diventato la “casa” di un certo numero di molluschi, crostacei e mammiferi marini unici al mondo. Balene (come la Cetotherium riabinini, la più piccola mai rinvenuta tra i fossili), delfini e foche abitanti del lago erano “versioni in miniatura” dei corrispettivi abitanti del mare aperto. Questo “nanismo” ha permesso agli animali di ben adattarsi al lago nelle sue varie fasi di restrizione.
Non solo quella delle creature marine. Anche l’evoluzione delle creature terrestri fu influenzata dalle mutazioni del megalago. A seguito del ritirarsi del lago, infatti, le nuove sponde si trasformarono in distese erbose, veri e propri “focolai evolutivi”. Nelle zone settentrionali dell’Oceano Paratetide si trovavano i progenitori delle moderne capre e pecore, al fianco di antilopi primitive. Nella zone meridionali, invece, proliferavano gli antenati degli elefanti e delle giraffe odierni.
4 lunghi periodi di siccità costrinsero questi animali a migrare verso l’Africa, in direzione sud-ovest, dove si sono poi evoluti, dando vita alla diversità di creature per cui oggi è nota la savana africana.
La fine del megalago
Il megalago ricevette il “colpo di grazia” tra i 6,7 e 6,9 milioni di anni fa, quando un’erosione aprì uno sbocco in corrispondenza del margine sudoccidentale del lago (ad oggi, molto probabilmente sommerso dal Mar Egeo). Ne derivò un fiumiciattolo, che riuscì a trovare la sua strada verso il Mediterraneo. Tuttavia, l’Oceano Paratetide scomparve “in grande stile”: l’acqua di cui il lago si stava svuotando, infatti, scorrendo verso il mare diede vita ad una maestosa cascata!
Quale destino per i laghi moderni?
Dal 1970, il numero di vertebrati di acqua dolce – compresi uccelli, pesci, anfibi, rettili e mammiferi – si è ridotto di uno sconcertante 83%[2], a causa di: estrazione dell’acqua, inquinamento, specie invasive, malattie e… cambiamenti climatici! Ancora una volta, sempre loro.
Quello delle ondate di calore è un fenomeno piuttosto recente, ma anche sempre più frequente, e sta interessando anche i laghi. Si registra un’ondata di calore quando le temperature dell’acqua superficiale aumentano sopra la media e si mantengono alte per oltre 5 giorni. Stando alle previsioni, entro la fine del secolo corrente, potrebbero durare tra le 3 e le 12 volte di più e diventare tra lo 0.3 e l’1.7 gradi centigradi più calde. In prossimità dell’equatore, si potrebbe passare da un fenomeno passeggero a una condizione permanente.
Ne conseguirà che, con molta probabilità, i laghi più piccoli – con relativa flora e fauna – scompariranno dalla faccia della Terra.
Temperature più alte significano, infatti, riduzione di ossigeno e aumento di evaporazione. Dunque, habitat meno ossigenati e più salati, all’interno dei quali dovrà esserci un ricambio di specie. Ma, allo stesso modo, anche quelle che tradizionalmente abitano la superficie dei laghi faranno difficoltà a sopravvivervi.
Le ondate di calore permetteranno ai patogeni dei pesci di crescere e diffondersi più velocemente, anche con maggiore pericolo per l’uomo di contrarre malattie trasmesse dagli organismi viventi d’acqua dolce.
Poiché, inoltre, una superficie dell’acqua più calda risulta essere più ricca di nutrienti, i cambiamenti climatici provocherebbero anche un’esplosione nel numero delle microalghe. Apparentemente, niente di male, dato che quest’ultime, nei suddetti habitat, sono alla base della vita e della catena alimentare. Tuttavia, se in numero eccessivo, possono trasformarsi in una coltre sulla superficie dei laghi e, per di più, rilasciare tossine.
Così, i pesci soffocano, perché la luce non filtra, non si produce ossigeno e/o le loro branchie vengono ostruite dalle microalghe. Quest’ultime, però, costituiscono un pericolo di morte sia dentro che fuori dall’acqua: in Tanzania, ad esempio, nel 2004 morirono ben 15 mila fenicotteri per aver consumato le tossine prodotte da una fioritura algale.
Gli esperti ci avvertono che, proprio a causa di queste sempre più frequenti ondate di calore, a partire dal 2040 gli eventi di mortalità di massa raddoppieranno nei laghi dell’emisfero boreale, mentre quadruplicheranno in quelli dell’emisfero australe a partire dal 2080.
Ecco, quindi, che se non ci sarà un’inversione di rotta i laghi di tutto il mondo saranno destinati ad un futuro senza vita.
[1] Sid Perkins, “The rise and fall of the world’s largest lake”, Science, 4 giugno 2021. Disponibile al seguente indirizzo https://www.science.org/news/2021/06/rise-and-fall-world-s-largest-lake.
[2] Antonia La, “Climate change: world’s lakes are in hot water – threatening rare wildlife”, The Conversation, 7 giugno 2021. Disponibile al seguente indirizzo https://theconversation.com/climate-change-worlds-lakes-are-in-hot-water-threatening-rare-wildlife-156148?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=ee25772cf7-briefing-dy-20210608&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-ee25772cf7-46136706.
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Autore articolo
Federica Fiorletta
Redattrice
Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.