Dal greco antico αὐτός (“se stesso”), la prima occorrenza della parola “autismo” è ricondotta allo psichiatra svizzero Eugen Bleuler, che coniò e fece uso del termine per descrivere la perdita di contatto con la realtà e il conseguente ripiegamento su se stessi da lui osservati in alcuni soggetti adulti affetti da disturbo schizofrenico.
Il primo, però, ad utilizzare il termine per descrivere un complesso di sintomi e, quindi, una vera e propria sindrome patologica fu lo psichiatra austriaco Leo Kanner (poi naturalizzato statunitense e considerato, infatti, il padre della psichiatria infantile americana). Proprio per questo, dunque, l’autismo infantile precoce è noto anche come “sindrome di Kanner”. Quest’ultima fu descritta dallo psichiatra in un articolo dal titolo “Disturbi autistici del contatto affettivo”, pubblicato sulla rivista Pathology nel 1943.
Un anno dopo la pubblicazione dello studio di Kanner, il pediatra austriaco Hans Asperger descrisse un’altra sindrome, quella che porta il suo nome, una forma più lieve di autismo e non una separata, come considerata in passato. Nel corso del tempo, infatti, emergendo una notevole varietà sintomatologica e, pertanto, venendo a mancare una definizione clinica coerente e unitaria, è prevalsa la più corretta denominazione di “disturbi dello spettro autistico”.
Le caratteristiche comuni ai disturbi dello spettro autistico
Pur manifestandosi con modalità e livelli estremamente differenziati, questi diversi disturbi rimandano, ovviamente, a delle caratteristiche comuni a tutti, le stesse già individuate e descritte da Leo Kanner nel suo articolo, frutto di uno studio condotto su un gruppo di 11 bambini, 9 maschi e 2 femmine, di età compresa tra i 2 e i 10 anni.
Come già concluso dallo psichiatra nel 1943, si tratta di un disturbo, o meglio, di disturbi del neurosviluppo, che insorgono entro i primi 2-3 anni di vita. Quanto li accomuna è un vario grado di compromissione delle capacità di comunicazione verbale e non verbale e di interazione sociale, difficoltà che sono solite sfociare in una ristrettezza di interessi e in un desiderio di ripetitività.
Vecchie e nuove “varianti” di autismo
A proposito della sindrome di Asperger, quest’ultima viene classificata come una forma di disturbo dello spettro autistico più lieve – o “ad alto funzionamento” – poiché non è caratterizzata da disturbi del linguaggio né da disabilità intellettive.
Tuttavia, la cosa più sorprendente di tutte è come, più di 70 anni dopo, se ne scoprano ancora nuove forme. La notizia dell’ultima scoperta, quella di un disturbo apparentemente causato da un numero eccessivo di sinapsi nella corteccia cerebrale, frutto della collaborazione tra l’Istituto Italiano di Tecnologia e l’Università di Pisa, è stata ufficializzata con un articolo pubblicato su Nature Communications giusto lo scorso 19 ottobre[1].
La genetica dell’autismo
Non è ancora dato sapere, però, con certezza quali siano le cause di sviluppo dell’autismo, ma la comunità medico-scientifica concorda nel ritenere quella genetica una componente molto importante, soprattutto alla luce di un recente studio, pubblicato sulla rivista Cell il 23 gennaio 2020.
Coinvolgendo 35 mila soggetti, tra cui circa 12 mila autistici, i ricercatori sono riusciti ad individuare ben 102 geni (di cui 30 non ancora collegati a questa condizione) implicati nel rischio di disturbi dello spettro autistico.
Questo risultato è stato ottenuto mediante analisi dell’esoma. Si tratta di una parte del genoma, ovvero dell’insieme di tutte le informazioni biologiche, depositate nella sequenza del DNA, necessarie alla costruzione e al mantenimento di ogni organismo vivente. L’esoma rappresenta proprio la porzione di genoma codificante del DNA.
Il Prof. Alfredo Brusco dell’Azienda Ospedaliero-universitaria “Città della Salute e della Scienza di Torino”, che è stato uno dei partecipanti allo studio, ha così ribadito, sulla base della scoperta di questi 102 geni, come il disturbo dello spettro autistico “non è una malattia ma un gruppo molto ampio di malattie. […] Si tratta cioè di 102 malattie, per ciascuna delle quali un singolo gene mutato è sufficiente a determinare il quadro clinico. […] I geni identificati sono espressi molto precocemente nello sviluppo del cervello, e confermano l’autismo come malattia del neurosviluppo”[2].
La ricerca finita sotto indagine
Allo studio internazionale sopracitato, che è stato definito uno dei più importanti su genetica e autismo, ne è susseguito un altro, il più grande che sia mai stato condotto in Gran Bretagna, se non fosse che, subito dopo la sua partenza, è stato stoppato, finendo sotto indagine.
Il progetto di ricerca, guidato dal Prof. Simon Baron-Cohen, direttore dell’Autism Research Centre dell’Università di Cambridge, prevede la raccolta di 10 mila campioni di DNA, con informazioni sulla salute fisica e mentale, di soggetti autistici e delle loro famiglie. Non a caso, si è scelto di chiamare lo studio “Spectrum 10K”.
Avviato in data 24 agosto 2021, quest’ultimo è stato messo in pausa il 10 settembre 2021. Opera di una petizione, nonché di un gruppo nato proprio con l’intento di boicottare la ricerca (“Boycott Spectrum 10K”).
L’accusa rivoltale è stata quella di scarsa trasparenza circa le modalità di gestione e utilizzo dei numerosissimi dati genetici appositamente raccolti per questo studio. Altrettanto oscura l’entità del beneficio che la comunità autistica dovrebbe trarne. È stato persino espresso il timore per una svolta eugenetica dello studio, che alcuni hanno supposto potesse concludersi in uno screening prenatale, grazie al quale poter pre-diagnosticare i disturbi dello spettro autistico. La questione, dunque, ha assunto un carattere prettamente etico.
Il leader del progetto è intervenuto in prima persona negando la possibilità di individuare un metodo tramite cui poter pre-diagnosticare l’autismo, ma la ripresa dello studio resta ancora incerta. Le indagini sono tuttora in corso e potrebbero andare avanti ancora per qualche mese. Non resta che aspettare di scoprire quale sarà il verdetto finale dell’Health Research Authority[3].
[1] Cfr. Chiara Dilucente, “È stato trovato un sottotipo di autismo in cui il cervello è “iperconnesso””, Wired, 28 ottobre 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.wired.it/article/autismo-sottotipo-cervello-iperconnesso-pisa/.
[2] Elisabetta Intini, “Uno dei più importanti studi su genetica e autismo”, Focus, 28 gennaio 2020. Consultabile al seguente indirizzo https://www.focus.it/scienza/salute/uno-dei-piu-importanti-studi-su-genetica-e-autismo.
[3] Cfr. Katharine Sanderson, “High-profile autism genetics project paused amid backlash”, Nature, 27 settembre 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.nature.com/articles/d41586-021-02602-7?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=4b949e25a9-briefing-dy-20210928&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-4b949e25a9-46136706.
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Autore articolo
Federica Fiorletta
Redattrice
Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.