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“Fantasmi da Marte” di John Carpenter: il fascino scarlatto del male

Invito alla visione

Copertina Fantasmi da Marte

John Carpenter dirige Fantasmi da Marte toccando il fondo più nero di una poetica cinematografica fantascientifica di cui egli si fa cantore oscuro, già a partire dalle fosche e desolanti narrazioni di capolavori quali: The Fog (1980), La Cosa (1982), Essi vivono (1988) e Villaggio dei dannati (1995).

Il rapporto tra Carpenter e la fantascienza segna un universo di confine – tra la fine degli anni ’70 e la prima metà degli anni ’90 – che evidenzia un interessantissimo rimescolamento di generi: da una parte la fantascienza che riporta sulla Terra forze ostili, dall’altra l’horror che vede, dal 1970 al 1995, il massimo della propria capacità distruttiva e disturbante.

Volendo prendere in prestito un’interessante intuizione del grande maestro dell’horror italiano Lucio Fulci, si potrebbe affermare che John Carpenter, nel panorama cinematografico americano della fine del Novecento e l’inizio del XXI secolo, agisca in quanto terrorista dei generi (una qualificazione, quest’ultima, che si potrebbe applicare anche al genio di Quentin Tarantino).

Il concetto di terrorismo del genere cinematografico innesca, nella narrazione filmica, un complesso gioco di scatole cinesi all’interno delle quali l’esperienza dello spettatore dilaga e deflagra, si smarrisce e ritrova continuamente se stessa, connota e denota, scardina gli impulsi percettivi e dialoga con la materia narrata che si confonde in maniera fluida.

Tale fluidità fa sì che il racconto carpenteriano – specialmente nelle opere sopramenzionate – architetti un piacevole e perturbante inganno in cui le terribilità da body experience ed escatologiche del racconto dell’orrore si con-fondono, al livello del lessico filmico, con un tipo di racconto fantascientifico che si sviluppa attraverso foschie, ellissi, bui, oscurità condensate in una particolare visione dell’universo che non promette nulla di buono.

Gli extraterrestri di Carpenter sono fantasmi, spettri, parassiti, nemici antichi che tendono a governare le dinamiche terrestri attraverso meccanismi di omologazione e controllo (Essi vivono), possessione (Villaggio dei dannati), imitazione (La Cosa) e spavento (Fog).

Carpenter, quindi, inscena tra umani ed extraterrestri un vero e proprio conflitto che, come accade nell’incompreso e poco noto Fantasmi da Marte del 2001, si condensa in un racconto ove il cromatismo della fotografia diviene la traccia essenziale del binomio horror vs fantascienza: un rosso ed un nero di stendhaliana memoria che tingono di sangue e oscurità i terrosi spazi di Marte, pianeta misterioso e topos cinematografico di grande impatto emotivo.

All’interno di un tipico luogo comune – quale il pianeta Marte si manifesta in moltissime narrazioni cinematografiche e fantascientifiche – Carpenter mette in scena un conflitto cromatico che contiene la violenza inaudita di un sotto (il nero) da cui s’esala il fascino scarlatto del male (la strage, il rosso, il sopra). È proprio in tale poetica della strage e della carneficina che il regista fa muovere i personaggi (umani e marziani) all’interno di una pericolosissima esperienza cinematografica che non può non ricordare, a tratti, i classici videogame della fine degli anni ’90 quali: Duke Nukem (1991), Doom (1993), oppure il famosissimo Resident Evil (1996). Non è un caso che i primi due videogiochi abbiano, tra le preziose fonti di ispirazione, il grande dittico carpenteriano composto da: 1997: Fuga da New York (1981) e Fuga da Los Angeles (1996).

In Fantasmi da Marte, quindi, Carpenter sviluppa un percorso cromatico di natura duale che diviene, specialmente nelle sequenze di combattimento, una vertigine percettiva che, a tratti, pare ricordare certe atmosfere tipicamente western che il regista svilupperà totalmente – sempre percorrendo una poetica della mescolanza – nel bellissimo Vampiri del 1998.

Carpenter terrorizza i suoi spettatori attraverso una pericolosa fusione di generi che si metamorfizzano continuamente, in maniera quasi maniacale e disturbando la percezione stessa dello spettatore. In una famosa intervista televisiva del 1994, Lucio Fulci parla di se stesso affermando: “Io cerco di essere un terrorista del genere. Sto dentro e, ogni tanto, metto la bomba che fa deflagrare il genere”[1]. Carpenter amava Fulci e lo amava alla follia. Non è un caso che tale interessantissima intuizione ritrovi, nella poetica carpenteriana, un importante sistema sperimentale che scardina le polarizzazioni delle forme codificate dal genere e, di controcanto, fa sì che l’opera d’arte possa assumere un’identità ingannatrice che fa del male e della violenza – nel caso specifico di Fantasmi da Marte – i due elementi attraverso cui si tinge di scarlatto l’oscurità ambigua e dolorosa della visione. Lo guardo dello spettatore oscilla tra il rosso e il nero quasi si muovesse, parallelamente, tra l’horror e la fantascienza, facendo sì che la percezione si possa mutare in decifrazione.

Essere ai confini del genere. Tale è l’esperienza che Carpenter ha saputo donare ai suoi spettatori. Essere ai confini del genere cinematografico, d’altronde, vuol dire trovarsi in un territorio ostile dove gli inganni possono lasciar sprofondare lo sguardo e l’attenzione nella metamorfica esperienza della perdita, dello smarrimento, del conflitto. È proprio nel momento in cui i generi iniziano a confondersi che i fantasmi dell’inconscio sbucano dalle oscurità della mente e macchiano di scarlatto l’universo degli uomini.


[1] È possibile visionare l’intera intervista al link seguente: https://www.youtube.com/watch?v=vjl10NlDJwk&t=1113s

Autore articolo

Ivano Capocciama

Ivano Capocciama

Regista e insegnante

Insegnante di lettere, studioso di teatro, mi occupo di regia e drammaturgia. Il mio lavoro artistico passa attraverso la letteratura drammatica moderna e contemporanea, la storiografia teatrale europea, i Teatri Laboratorio, l’Antropologia Teatrale e, soprattutto, i rapporti tra drammaturgia e spettacolo. Dal 2004 collaboro con vari istituti scolastici e scuole di recitazione, in qualità di regista, insegnante di movimento scenico, training attoriale, pratiche di messa in scena e studi di arte scenica per cantanti lirici.

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