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Le emissioni di anidride carbonica e la sopravvivenza del pianeta Terra

Con le nostre attività, stiamo compromettendo la nostra stessa esistenza: la comunità scientifica torna nuovamente ad avvisarci. Abbiamo una qualche via di scampo?

Copertina_Anidride Carbonica

Uno studio e un articolo su Nature, pubblicati entrambi lo scorso 17 marzo, ci riportano novità e aggiornamenti in merito alla questione delle emissioni di CO2, l’anidride carbonica, dovute nel primo caso all’intensivazione della cosiddetta “pesca a strascico” e nel secondo allo scioglimento del permafrost, lo strato di terreno permanentemente gelato situato nel sottosuolo di zone ad alta latitudine e/o ad alta quota.

“Dagli inizi del 1800 ad oggi, ma soprattutto in quest’ultimo mezzo secolo, la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera sta aumentando. Così come quella di altri gas serra, in particolare metano e ossido di azoto. Questi gas sono responsabili dell’effetto serra che agisce sui meccanismi di mantenimento della temperatura terrestre. […] È ormai comunemente accettato il ruolo che l’aumento dei gas serra ha nei cambiamenti climatici in atto [ed esiste] un generale consenso del mondo scientifico circa il ruolo delle responsabilità umane nel provocare i cambiamenti climatici”[1].

Considerando che “[negli] ultimi due secoli la quantità di CO2 è andata aumentando e ha raggiunto nel 2011 la concentrazione di 391 ppmv (parti per milione in volume), valore superiore all’intervallo di concentrazione naturale (180-300 ppmv) degli ultimi 800.000 anni e molto probabilmente degli ultimi 20 milioni di anni”[2], è facile intuire il pericolo avvertito dagli scienziati, la minaccia della quale vogliono, anzi, devono metterci al corrente. Andiamo a scoprirne qualche dettaglio.

Anidride carbonica dalla pesca a strascico

Quello a strascico è uno dei metodi di pesca più diffusi al mondo, ma anche uno dei più devastanti. Trascinando le reti sui fondali marini, infatti, a venir via non sono solamente i pesci, ma tutto quello che può essere catturato da quest’ultime. Sebbene ne esistano di diverse, nessuna riesce a garantire selettività e la biodiversità marina, dunque, non può che risentirne.

Pesca a strascico_Anidride carbonica

É così, quindi, che i pesci vengono catturati, poi gettati sui ponti dei pescherecci e lasciati a boccheggiare, fino alla morte. Sorge spontaneo chiedersi cosa si è soliti farsene di tutti quelli non commerciabili… Molto semplice: il surplus – il termine tecnico sarebbe quello di bycatch – viene rigettato in mare.

Bycatch_Anidride Carbonica

Lo scenario è già abbastanza raccapricciante, ma lo studio “Protecting the global ocean for biodiversity, food and climate” condotto da 26 biologi marini, esperti climatici ed economisti, pubblicato su Nature, porta a galla un’altra questione, quella relativa alla quantità di CO2 prodotta dai pescherecci industriali che utilizzano il suddetto metodo, il cui livello di inquinamento sarebbe pari a quello degli aerei.

Stando ai calcoli, ogni anno la pesca a strascico rilascerebbe 1 gigatone (unità di misura equivalente alla quantità di energia che si sprigiona all’esplosione di un miliardo di tonnellate di tritolo) di anidride carbonica. Quest’ultima va a sedimentarsi sui fondali, con la possibilità di aumentare l’acidificazione degli oceani e finendo per danneggiare sia la biodiversità marina che la stessa produzione industriale[3].

Il programma di risoluzione

Gli scienziati hanno lavorato ad un algoritmo per individuare le aree più a rischio e proporre una strategia di salvaguardia da applicare solamente a regioni marine selezionate, con l’obiettivo di riuscire a proteggere il 30% degli oceani entro il 2030.

Per eliminare il 90% del rischio costituito dal livello di inquinamento da anidride carbonica raggiunto attualmente, basterebbe proteggere il 4% degli oceani e per lo più acque territoriali. Basterebbe,dunque, almeno per iniziare, un piccolo sforzo e se ne trarrebbero vantaggi anche piuttosto immediati, tanto per la vita marina quanto per la vita umana, poiché non si andrebbe ad intaccare la produzione ittica, ma la si agevolerebbe attraverso un’azione mirata, facendo in modo di ridurre il rilascio di gas serra, mitigando il clima.

Nella classifica dei 10 Paesi con il più alto tasso di emissioni di CO2 da pesca a strascico, c’è un posto anche per l’Italia. Anzi, il nostro Paese conquista il podio come terzo classificato dopo Cina e Russia e prima di Regno Unito, Danimarca, Francia, Olanda, Norvegia, Croazia e Spagna[4]. Anche noi, pertanto, siamo chiamati a collaborare per essere artefici del cambiamento, ora.

Anidride carbonica dal permafrost

Si chiama IsoGenie il progetto che è oggetto di trattazione nel secondo articolo di Nature, “How microbes in permafrost could trigger a massive carbon bomb”. Finanziato dall’US Department of Energy, il dipartimento governativo statunitense responsabile della gestione dell’energia e della sicurezza nucleare, è stato lanciato nel 2010, coinvolgendo scienziati di diverse discipline allo scopo di indagare come i microbi all’interno del permafrost che si sta sciogliendo possano influenzare le emissioni di CO2 che vi è immagazzinata, producendo essi stessi del gas serra.

Il permafrost costituisce la più grande riserva di anidride carbonica della Terra, tanto è vero che attualmente vi si trovano 1,6 miliardi di tonnellate di CO2, più del doppio della quantità presente nell’atmosfera. Tuttavia, a causa del riscaldamento globale, si sta sciogliendo e la riserva pericolosamente riducendo[5].

Il progetto IsoGenie

Non si tratta di un progetto particolarmente innovativo, vi sono anche altri studi simili, ma, nel suo genere, è comunque l’attività di ricerca più grande e duratura fra tutte. Gli scienziati sono al lavoro nella palude di Stordalen, all’estremo nord della Svezia, un tempo interamente ricoperta dal permafrost. 

Plexiglass_Anidride Carbonica
Credit: Carmody McCalley

Da una parte le analisi vengono condotte grazie a delle strutture in plexiglass che, a intervalli regolari, si riempiono del gas serra rilasciato dal terreno sottostante, gas che percorrendo un labirinto di tubi arriva fino a degli pseudo-laboratori adibiti nelle vicinanze. Dall’altra, sono gli scienziati a prelevare manualmente dei campioni di terreno per sequenziare i geni dei microrganismi produttori di gas serra, sia anidride carbonica che metano. Da qui, anche, il nome del progetto. Fino ad ora, il team di ricercatori sarebbe riuscito ad assemblare 13.000 genomi.

Ricercatori IsoGenie_Anidride Carbonica
Credit: Nicole Raab

L’identità dei microbi maggiormente presenti nel permafrost, infatti, può fare la differenza circa quale tipologia di gas serra venga emesso. Inoltre, a seconda dei microbi che vi si trovano, una determinata area può dimostrarsi più o meno sensibile ai cambiamenti climatici: la presenza di ferro o di altri nutrienti nel terreno, infatti, potrebbe accelerare la produzione di gas serra in quella specifica area, dal momento che, come scoperto nel 2015, alcuni microbi, ad esempio, utilizzano proprio il ferro per sopravvivere nelle difficili condizioni di vita all’interno del permafrost. Gli scienziati temono che il disgelo stia offrendo l’opportunità di un “banchetto epico” ai microbi produttori di anidride carbonica e metano[6].

C’è ancora molto da indagare, affrontando tante difficoltà, considerando la lontananza, ma anche la vastità e la varietà dei luoghi che sono stati fatti oggetto d’indagine.

Stando alle dichiarazioni dei fondatori e collaboratori di IsoGenie, quest’ultimo dovrebbe sfociare in un altro progetto, denominato EMERGE (“emergent ecosystem response to change”), per il quale ci si vorrebbe avvantaggiare della tecnologia satellitare per realizzare – un po’ come è stato fatto nel caso della pesca a strascico – una mappa delle comunità microbiche artiche produttrici di gas serra.

Restiamo in attesa di ulteriori aggiornamenti, ma interrogandoci su come poter fare la nostra piccola/grande parte.


[1] “Effetti dell’aumento di CO2”, WWF. Consultabile al seguente link https://www.wwf.it/il_pianeta/cambiamenti_climatici/effetti_aumento_co2/.

[2] Ibidem.

[3] Cfr. Karen McVeigh, “Bottom trawling releases as much carbon as air travel, landmark study finds”, The Guardian, 17 marzo 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.theguardian.com/environment/2021/mar/17/trawling-for-fish-releases-as-much-carbon-as-air-travel-report-finds-climate-crisis.

[4] Cfr. Ibidem.

[5] Cfr. Monique Brouillette, “How microbes in permafrost could trigger a massive carbon bomb”, Nature, 17 marzo 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.nature.com/articles/d41586-021-00659-y.

[6] Cfr. Ibidem.

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Autore articolo

Federica Fiorletta - autore

Federica Fiorletta

Redattrice

Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.

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