Come si sono estinti i dinosauri? Pare che gli scienziati abbiano trovato la risposta definitiva: proprio recentemente, infatti, è arrivata l’ultima conferma della teoria dell’asteroide, diffusasi a partire dagli anni ’80 e consolidatasi nel tempo, fino ad arrivare a oggi.
Lo studio, guidato dal docente di geochimica della Vrije Universiteit Brussel , il Prof. Steven Goderis, e realizzato in collaborazione con la University of Texas at Austin, è stato pubblicato sulla rivista Science Advances lo scorso 24 febbraio.
La teoria dell’asteroide
Un gigantesco asteroide, dunque, avrebbe colpito la Terra in corrispondenza della penisola dello Yucatán, nel Golfo del Messico, 66 milioni di anni fa.
Le prime ipotesi erano state avanzate negli anni ’80, a seguito della scoperta di polvere di asteroide nello strato geologico – il cosiddetto “limite K-T” – che marca temporalmente la scomparsa dei dinosauri.
Negli anni ’90 queste ipotesi erano state rafforzate dalla scoperta del cratere di Chicxulub (denominato come la città messicana a cui è prossimo), sepolto proprio sotto la penisola dello Yucatán (per una parte in mare e per una parte sulla terra) e della stessa età dello strato roccioso del limite K-T.
Grazie all’International Ocean Discovery Program, nel 2016 era stato possibile raccogliere del materiale da analizzare dalla parte sommersa del cratere e proprio da queste analisi si è riusciti ad avere la conferma definitiva circa l’esattezza di quelle prime ipotesi.
Nei campioni analizzati sono state trovate, infatti, tracce di iridio, un metallo estremamente raro sulla Terra, ma particolarmente comune negli asteroidi.
Stando alle dichiarazioni dei ricercatori, il deposito formato dall’iridio, sedimentatosi nei giorni e negli anni successivi all’impatto, è talmente spesso da poter essere datato con precisione e, stando ai calcoli, tutto coincide[1].
Cosa accadde allora?
La polvere sollevatasi a seguito dell’impatto dell’asteroide con la Terra avrebbe circolato nell’atmosfera per non più di un ventennio. È questo, dunque, l’arco di tempo in cui l’estinzione dei dinosauri – e non solo – ebbe luogo.
L’asteroide si schiantò sul nostro pianeta con una forza pari a quella di circa 10 miliardi di bombe atomiche, generando “incendi per migliaia di chilometri [e] un enorme tsunami che raggiunse l’entroterra dell’attuale Illinois [e rilasciando], dalla vaporizzazione delle rocce, così tanto zolfo […] da provocare un vero e proprio caos nel clima terrestre”[2].
Oscuratosi il Sole, anche se solo parzialmente, ne conseguì, infatti, un inverno perpetuo, al termine del quale tre quarti di tutte le specie viventi sulla Terra, inclusi molti dinosauri, erano morti.
L’impatto dell’asteroide, inoltre, sarebbe stato responsabile anche di un’intensificazione dell’attività vulcanica.
Eruzioni e terremoti sono stati a lungo additati come i veri colpevoli della scomparsa dei dinosauri, ma tra le varie ipotesi sappiamo ormai quale sia la teoria giusta da accreditare.
Un fossile di dinosauro con nido
Oltre ad avere trovato la soluzione al grande dilemma dell’estinzione, gli scienziati hanno scoperto – sempre recentemente e per la prima volta – un fossile di dinosauro ancora intento a covare le sue 24 uova nel nido, “almeno 7 delle quali hanno conservato gli scheletri parziali di embrioni che non videro mai la luce”[3].
Lo studio, guidato da un docente dell’Indiana University of Pennsylvania, Shundong Bi, è stato pubblicato sulla rivista Science Bulletin.
Si tratta di un esemplare di Oviraptor philoceratops, un teropode – lo stesso sottordine a cui appartengono i tirannosauri – dalle fattezze simili a quelle di un uccello, ma diverso da quest’ultimo: l’espressione con la quale viene indicato è, infatti, quella di “non-aviano”.
Gli oviraptor vivevano nei territori attualmente corrispondenti ad Asia e America del Nord, 70 milioni di anni fa.
Il ritrovamento è avvenuto nella provincia di Jiangxi, nel sud della Cina, dove il fossile è stato rinvenuto in uno strato di rocce del Cretaceo.
Una scoperta decisamente sensazionale, che ha permesso, anche in questo caso, di trovare risposta ad un importante quesito: “[la] maturità della nidiata e la prossimità con il corpo dell’adulto[, infatti] indicano fortemente che il dinosauro stesse incubando le uova, come un moderno struzzo, e non le stesse semplicemente sorvegliando come fanno invece i coccodrilli. È una differenza cruciale sulla quale si dibatteva da tempo, in mancanza di fossili che “fotografassero” l’incubazione in corso”[4].
Decolonizzare la paleontologia
A proposito di questioni irrisolte, un articolo del New York Times pubblicato lo scorso 22 marzo ne solleva una molto interessante e importante: quella del decolonizzare la paleontologia.
Cosa significa? Il giornalista Asher Elbein lo spiega con un esempio, riportando il caso di Mohamad Bazzi, ricercatore presso la svedese Uppsala Universitet e promotore di una spedizione paleontologica in Tunisia, nelle vicinanze della città di Gafsa.
Bazzi, infatti, avrebbe agito poco convenzionalmente:
- coinvolgendo negli scavi personale tunisino al posto di universitari svedesi;
- dando lezione ai residenti di Gafsa più curiosi sulla storia dei fossili conservatisi in quell’area;
- accordandosi con le istituzioni locali per la restituzione, al termine degli studi, di tutti i reperti sottratti alla Tunisia per essere analizzati in Svezia.
Mohamad Bazzi appartiene ad una nuova generazione di ricercatori e paleontologi, alcuni dei quali, come lui, aderiscono ad un movimento per la sostituzione di vecchie modalità d’indagine scientifica, ereditate direttamente dal colonialismo ottocentesco, con nuove modalità che cerchino la collaborazione con le realtà istituzionali locali e che ambiscano anche allo sviluppo di quest’ultime.
Spesso, infatti, capita che i fossili vengano trasferiti per essere studiati altrove, che non vengano restituiti e che vadano ad arricchire le collezioni dei musei americani o europei. Tutto ciò avviene data la mancanza di fondi e finanziamenti destinati alla formazione e alla ricerca scientifica.
È per questo che Bazzi ha voluto adoperarsi per l’introduzione della Paleontologia nell’offerta di studio dell’Università di Gafsa: pur nel suo piccolo, un grande gesto.
Pian piano, dunque, qualcosa sta iniziando a cambiare, ma ci vorrà ancora molto lavoro per riuscire ad abbattere il sistema di gerarchie ormai fossilizzatosi.
[1] Cfr. “Asteroid Dust Found in Crater Closes Case of Dinosaur Extinction”, UT News, 24 febbraio 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://news.utexas.edu/2021/02/24/asteroid-dust-found-in-crater-closes-case-of-dinosaur-extinction/.
[2] Marta Musso, “Cosa successe il giorno dopo l’impatto dell’asteroide che sterminò i dinosauri”, Wired, 11 settembre 2019. Consultabile al seguente indirizzo https://www.wired.it/attualita/ambiente/2019/09/11/giorno-asteroide-dinosauri/.
[3] Elisabetta Intini, “Dinosauri: l’Oviraptor covava le sue uova come un uccello”, Focus, 28 marzo 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.focus.it/scienza/scienze/dinosauri-oviraptor-covava-uova-uccello.
[4] Ibidem.
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Autore articolo
Federica Fiorletta
Redattrice
Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.