Si stima che nel mondo il 60% delle persone che hanno tentato il suicidio soffre di un disturbo depressivo[1]. Le cause che conducono alla depressione sono molteplici e la ricerca, soprattutto negli ultimi anni, si è concentrata sullo scovare anche quelle che finora potevano essere ritenute le più improbabili. Secondo una recente teoria, una delle cause potrebbe essere un rallentamento nella crescita dei nostri neuroni.
Ma la depressione è associata anche ad altri fattori come obesità, cattiva gestione delle fasi di sonno/veglia, Covid19, uso dei social media e altri ancora. Conoscere in che modo gli stili di vita incidono sulla salute mentale può aiutarci a individuare terapie in grado di migliorarla. Ma andiamo con ordine.
Depressione e il problema ormonale
Dallo sviluppo dei primi farmaci antidepressivi negli anni ’80, il panorama farmacologico non è cambiato molto. Anzi, i farmaci di più recente produzione sono molto simili al celebre Prozac (fluoxetina), anche se con minori effetti indesiderati[2]. Eppure recentemente sul mercato hanno fatto capolino nuovi antidepressivi, a base di brexanolone, steroide neuroattivo sviluppato per la depressione post-partum[3]. Ma non si tratta che di un caso. In realtà sono molti i gruppi di ricerca in tutto il mondo che stanno cercando di comprendere il complesso rapporto tra livelli ormonali e depressione.
“Circa il 5% delle donne in età fertile sviluppa PMDD 3 e le stime sulla depressione postnatale 4 vanno dal 4% a quasi il 64%. Ben il 40% delle donne riporta sintomi depressivi nel periodo della menopausa”[4].
Nello specifico, questo studio ruota attorno ai livelli di allopregnanolone – steroide neuroattivo frutto della scomposizione dell’ormone progesterone -, al loro aumento durante la gravidanza e l’automatica diminuzione dopo la nascita del bambino. Secondo gli esperti questo rapido declino potrebbe essere la causa principale della depressione postnatale[5]. Ma attenzione a pensare che le variazioni di umore provocate dagli ormoni colpiscano solo le donne. Gli uomini ne sono affetti quanto la controparte femminile.
Depressione e droghe psichedeliche
Tra i trattamenti di maggiore successo degli ultimi 20 anni c’è l’uso delle droghe psichedeliche come la ketamina. Sembrava difficile crederlo per gli stessi scienziati che, in alcuni casi, hanno espresso perplessità sul reale successo terapeutico, salvo poi doversi ricredere. Dal 2016 al 2020 oltre la metà delle 500 persone affette da depressione che hanno ricevuto dosi di ketamina hanno dichiarato di aver avuto giovamento, con una diminuzione per il 73% dei casi di pensieri suicidi.
“I ricercatori hanno scoperto che le persone che hanno risposto alle infusioni di ketamina avevano, in media, circa l’80% di possibilità di provare ancora sollievo quattro settimane dopo e circa il 60% di possibilità a 8 settimane, senza infusioni di mantenimento”[6].
Attualmente sono in fase di studio (ma in maniera sparsa e senza eccessiva convinzione) vari farmaci derivati dalla stessa ketamina: l’esketamina e l’arketamina, che sono immagini speculari l’una dell’altra. Gli effetti benefici però non sono ancora scientificamente provati e ciò causa diversi problemi di accesso nei Paesi in cui l’uso è stato consentito. In più c’è da considerare che per ketamina e esketamina i pazienti sperimentano effetti dissociativi ed extracorporei quindi l’assunzione deve avvenire in un ambiente controllato, oltre a poter sfociare in comportamenti di abuso. Speranze arrivano dall’arketamina che al contrario degli altri due non produce effetti indesiderati e potrebbe essere valutato come terapia domestica.
Ma perché queste droghe psichedeliche hanno effetto benefico sui soggetti colpiti da depressione nessuno è in grado di dirlo. Il principale indiziato è un metabolita, l’idrossinorketamina, che sembra migliorare l’umore ma per averne conferma è stata avviata una sperimentazione, attualmente in fase I[7]. La speranza è di individuare una terapia efficace simile alla ketamina ma senza gli effetti indesiderati.
Il legame tra depressione e obesità
Stigma sociale, abitudini alimentari, scarsa attività sportiva, abuso di sostanze e mancanza di sonno. Sono solo alcuni dei fattori che accomunano depressione e obesità. Ma non si tratta solo di questo. Il logo legame appare molto più profondo di quello che potrebbe sembrare ad una prima osservazione.
L’obesità è legata a stretto giro a infiammazione cronica: i tessuti adiposi ospitano cellule immunitarie che secernono proteine in grado di segnalare una infiammazione. Alcune di queste proteine, le citochine, sono associate a problemi di salute mentale tanto da essere utilizzati da biomarcatori per lo studio della depressione[8].
A livello biochimico, le citochine stimolano la produzione di un enzima che ostacola gli amminoacidi indispensabili alla produzione della serotonina, ormone indispensabile alla regolazione dell’umore. Tuttavia chi è depresso ha già tassi più elevati di citochine. Chi causa cosa? È la depressione che causa obesità o il contrario?
Ma c’è anche un altro possibile responsabile: il cortisolo, ormone responsabile degli stati di stress, è legato agli stati depressivi e, a cascata, anche all’obesità. Per non parlare degli effetti indesiderati degli antidepressivi, quali proprio l’aumento di peso. Insomma, non si può studiare un fenomeno senza valutare anche l’altro, in un doppio filo che sembra tenere in ostaggio le vite di chi ne è affetto.
[1] Herb Brodi, “A journey into the causes and effects of depression”, Nature, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-022-02204-x
[2] Cassandra Willyard, “Psychedelic drugs take on depression”, Nature, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-022-02205-w
[3] Bianca Nogrady, “The hormonal keys to depression”, Nature, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-022-02208-7
[4] Bianca Nogrady, op. cit.
[5] Bianca Nogrady, op. cit.
[6] Cassandra Willyard, op. cit.
[7] Cassandra Willyard, op. cit.
[8] Benjamin Plackett, “The vicious cycle of depression and obesity”, Nature, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-022-02207-8
Autore articolo
Martina Shalipour Jafari
Redattrice
Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
Instancabile lettrice e appassionata di cinema.
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