Come possono i Paesi del mondo ripagare il debito contratto a causa della pandemia da Coronavirus quando i cambiamenti climatici incombono? È questa la domanda che tre esperti di economia e finanza si sono posti in un articolo apparso recentemente sulla rivista scientifica Nature[1].
Autori del paper: Arjuna Dibley, laureata presso lo Steyer-Taylor Center for Energy Policy and Finance della Stanford University, e ricercatrice presso l’Oxford Sustainable Law Program; Thom Wetzer, professore associato di diritto e finanza presso la Facoltà di giurisprudenza e direttore dell’Oxford Sustainable Law Program; Cameron Hepburn, professore di economia ambientale e direttore della Smith School of Enterprise and the Environment.
La preoccupazione dei tre è che i paesi abbiano contratto debiti a causa dei prestiti necessari ad affrontare l’emergenza sanitaria senza valutare l’impatto dei cambiamenti climatici sulla capacità di restituirli.
Debito da Covid19: una crisi del debito è alle porte?
I tre autori dell’articolo temono la tenuta dei mercati finanziari e l’esplosione di una crisi del debito. L’incognita riguarda i cambiamenti climatici: in caso di shock climatico, un singolo evento avverso potrebbe portare gli investitori a rivedere le proprie scelte e a rivalutare il debito sovrano di un Paese.
L’affidabilità è un elemento importante per poter accedere al mercato del credito e poter strappare tassi di interessi più bassi. L’eccessivo indebitamento causato dalla pandemia sta già pesando molto sulle future generazioni. Uno o più eventi atmosferici avversi potrebbero inficiare la capacità produttiva di un Paese, riducendo il PIL anche di 10 punti percentuali, compromettendo sensibilmente la capacità di ripagare il debito.
Gli esperti ritengono che tutto ciò sia evitabile valutando attentamente, attraverso criteri condivisi e standardizzati, i rischi climatici. La trasparenza è tutto: i governi che decidono di emettere obbligazioni sovrane per raccogliere fondi che andranno spesi per rendere le economie più green dovrebbero divulgare le informazioni sul proprio rischio climatico. Definire il prezzo dei rischi potrebbe incentivare nuovi investimenti volti a ridurne l’impatto.
I tre esperti suggeriscono tre approcci affinché i prestiti chiesti per affrontare il Coronavirus non vadano a gravare anche sul debito.
Debito Sovrano: obbligazioni e attenzione all’ambiente
Come gli autori della pubblicazione ricordano, le obbligazioni sono uno strumento molto utile ai governi per chiedere in prestito denaro necessario ad aumentare la produttività senza aumentare le tasse nel breve periodo. I tassi di interesse dipendono dal rischio di insolvenza: più è alto il rischio più lo sarà l’interesse.
L’arrivo di una pandemia come quella dovuta alla Covid19 può rappresentare uno shock per l’economia, bloccando la crescita ed aumentando il debito. Nel luglio 2020 il debito di circa cento Paesi a medio-basso reddito era di 130 miliardi. Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale hanno chiesto ai creditori di sospendere gli obblighi di servizio nei confronti delle Nazioni più povere. Sempre l’anno scorso Zambia, Argentina, Belize, Ecuador, Libano e Suriname sono andati in deafult e sono a rischio austerità.
La capacità di mantenere gli impegni sottoscritti con l’accordo di Parigi come la decarbonizzazione e saper affrontare i costi del riscaldamento climatico può segnare la possibilità o meno di rimborsare i debiti da qui a 30-50-100 anni.
Comunicare i rischi
I governi devono comunicare ai mercati l’esposizione al rischio fisico e di transizione. Nella loro indagine, gli autori del paper hanno osservato che il 77% delle obbligazioni sovrane emesse nel 2020 con scadenza al 2050 non presentano rischi legati al clima.
A tal proposito i rischi fisici considerano l’impatto dei cambiamenti climatici sulla produttività aziendale mentre i rischi di transizione “sono rischi finanziari che possono derivare dal processo di adattamento verso un’economia a basse emissioni di carbonio, determinati ad esempio dall’introduzione di politiche ambientali e climatiche, innovazioni tecnologiche o dal mutare della fiducia e delle preferenze dei mercati che potrebbe influenzare il prezzo di prodotti energetici sostitutivi, la profittabilità di alcune imprese e la relativa svalutazione di assets”[2].
Solo tre paesi hanno indicato i rischi fisici per le proprie economie: Bermuda, Repubblica Dominicana ed El Salvador. Per i rischi di transizione solo Emirati Arabi Uniti e Bulgaria hanno fornito le proprie informazioni. Solo un Paese al mondo ha rilevato gli impatti per entrambi i fattori: il Ghana. In ogni caso si tratta di informazioni parziali.
Di fronte ad un quadro così nebuloso per gli investitori è difficile valutare se rischi e rendimenti sono affidabili. Insomma, i governi, per vari motivi, preferiscono non segnalare le proprie vulnerabilità sottostimando le conseguenze per le proprie economie.
Dare valore per acquistare credibilità
Cosa potrebbe provocare questa mancanza di informazioni? Gli investitori si muovono alla cieca ed alcuni, nel panorama attuale, senza le necessarie rassicurazioni, potrebbero decidere di ritirarsi da un determinato paese. Le nuove generazioni rischiano la povertà a causa della crisi climatica e dell’indebitamento.
In più, aggiungono i tre autori, i finanziamenti ottenuti per la Covid19 e che vengono spesi per combattere i cambiamenti climatici vengono usati per “metterci una pezza” più che per programmare un cambiamento sistematico. Anzi, molti governi operano controcorrente finanziando attività che causano un aumento delle emissioni.
Debito tra Covid19 e ambiente: alcune soluzioni
Alcune soluzioni sono percorribili ed auspicabili. In primis, sarebbe opportuno sviluppare metodi e strumenti per il calcolo di questi rischi, facendo riferimento anche a previsioni realistiche degli impatti economici dei cambiamenti climatici.
Dal canto loro, le borse potrebbero aggiornare le linee guida per la quotazione e fornire regole standard per informativa su rischio climatico su mercati del debito. Parte del credito Covid19 dovrebbe essere sfruttato per mitigare l’impatto sul clima, migliorare la resistenza ai cambiamenti ed espandere l’economia. Il green rappresenta un’opportunità di crescita economica e lavorativa.
Le obbligazioni sovrane verdi incentivano proprio ad investire i fondi in progetti di sostenibilità ed i mercati potrebbero mostrarsi propensi a premiare le nazioni offrendo tassi di interesse inferiori.
I Paesi più ricchi, in ultimo, potrebbero aiutare quelli più poveri ed in difficoltà acquistando il loro debito purché il denaro venga assegnato a piani per aumentare la sicurezza climatica.
Il Green Deal europeo
Il quadro europeo è in fermento ed il Green Deal ha l’obiettivo dichiarato di canalizzare gli investimenti privati verso un’economia efficiente e neutrale a livello climatico. In linea con l’accordo di Parigi e con gli obiettivi fissati dall’Agenda ONU al 2030 le istituzioni sovrannazionali del vecchio continente hanno annunciato un piano per la crescita sostenibile: the action plan on financing sustainable growth.
Ovviamente un cambio di prospettiva importante come questa comporta benefici ma anche potenziali rischi. Per questo motivo “l’Autorità bancaria europea (ABE) è stata incaricata di valutare in vari ambiti come integrare i rischi ambientali, sociali e di governance nei tre pilastri della vigilanza prudenziale”[3].
In più, proprio come suggerivano i tre esperti presentati ad inizio dell’articolo, l’Europa ha lavorato per realizzare standard validi per tutti, chiamati Tassonomia europea la quale “[…] mira ad aiutare gli investitori e i responsabili politici a comprendere quali attività economiche contribuiscono alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, sia attraverso la mitigazione che l’adattamento”[4].
Le istituzioni comunitarie, dal prossimo 30 giugno, dunque, cominceranno a vigilare sulla concessione dei prestiti e la gestione del rischio seguendo questo quadro normativo.
L’Italia ed i green bond
Il rapporto del nostro Paese con i green bond risale al 2014, pochi anni dopo la prima emissione a livello mondiale, il 4 luglio 2007, da parte della Bei, Banca europea degli investimenti.
Rispetto alle obbligazioni tradizionali i green bond devono rispettare una serie di principi sanciti a livello internazionale dalla Icma, l’associazione internazionale dei mercati di capitali. Tra questi c’è il fatto che il denaro deve essere vincolato ad uno specifico progetto e che almeno una volta all’anno deve essere realizzata una rendicontazione[5].
Proprio in questi primi mesi del 2021 si è lavorato all’emissione di BTp green in Italia, a lunga scadenza e riservati ad investitori istituzionali. Si tratta di un pacchetto di 35 miliardi di euro per la maggior parte destinati al settore dei trasporti e in linea con la tassonomia europea. Nello specifico i progetti verteranno su:
- Mitigazione dei cambiamenti climatici
- Adattamento ai cambiamenti climatici
- Uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e dell’ambiente marino
- Transizione ad un’economia circolare
- Prevenzione e controllo dell’inquinamento
- Protezione, miglioramento e ripristino della biodiversità, degli ecosistemi e dei servizi ambientali[6].
Ovviamente ci sono voci di finanziamento non incluse, alcune tra queste: estrazione, lavorazione e trasporto di combustibili fossili; contratti militari; attività mineraria; fissione nucleare.
Come da indicazioni internazionali, anche il nostro Paese presenterà un documento – l’Italian Sovereign Green Bond Allocation and Impact Report – attraverso il quale verrà delineato lo stato di avanzamento dell’erogazione delle somme e della realizzazione degli interventi finanziari.
Insomma, la crisi climatica ha un peso sempre maggiore anche per i mercati ed il continente europeo sembra aver imboccato la strada giusta per assicurare maggiori sicurezze alle economie dei singoli stati membri.
Immagine di copertina: Foto di Nattanan Kanchanaprat da Pixabay.
[1] A. Dibley, T. Wetzer, C. Hepburn, “National COVID debts: climate change imperils countries’ ability to repay”, Nature, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-021-00871-w?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=e1ed2e8872-briefing-dy-20210413&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-e1ed2e8872-46136706
[2] G. Quaglia, A. Mastroianni, D. Donato, N. Cerruti, “Rischi finanziari legati al clima: una prospettiva sulle misure prudenziali europee”, Diritto Bancario, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: http://www.dirittobancario.it/approfondimenti/banche-e-intermediari-finanziari/rischi-finanziari-legati-al-clima-una-prospettiva-sulle-misure-prudenziali
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] V. D’Angerio, “Green bond, ecco cosa sono e come funzionano”, Il Sole 24 Ore, 2020. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.ilsole24ore.com/art/green-bond-ecco-cosa-sono-e-come-funzionano-AC9tKqDB
[6] V. D’Angerio, “BTp verde, ecco le caratteristiche del primo green bond sovrano dell’Italia”, Il Sole 24 Ore, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.ilsole24ore.com/art/btp-verde-ecco-caratteristiche-primo-green-bond-sovrano-dell-italia-ADChjGMB
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Autore articolo
Martina Shalipour Jafari
Redattrice
Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
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