Il Coronavirus ha stravolto il nostro mondo e causato danni (soprattutto economici e sanitari) ingenti ma ha rimesso in discussione anche molte delle nostre conoscenze scientifiche. Pneumologi e medici di tutto il mondo hanno osservato un significativo calo degli attacchi di asma nei propri pazienti portandoli a chiedersi quale fosse l’origine.
L’asma è una malattia respiratoria cronica, tra le più diffuse a livello globale e presente in tutti Paesi del mondo con incidenze differenti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “ci sono tra i 100 e i 150 milioni di persone che soffrono di questa condizione in tutto il mondo. Le morti associate alla malattia, sempre secondo i dati dell’Oms, sono circa 180mila ogni anno”[1].
Asma: cos’è e quali i fattori di rischio
L’asma consiste in una infiammazione cronica delle vie aeree la quale provoca un aumento della responsività bronchiale che è, a sua volta, causa di episodi ricorrenti di crisi respiratorie, respiro sibilante, senso di costrizione toracica e tosse. Nelle forme più gravi può risultare mortale.
Tra le cause scatenanti esistono vari fattori: in primis viene indicata l’esposizione al fumo di tabacco (attivo e passivo); i fattori ambientali come acari della polvere, particolato e pollini, insetti e animali domestici, muffe nell’ambiente domestico, eccesso di umidità ambientale, infezioni polmonari precoci e basso peso al momento della nascita[2]. In più, giocano un ruolo importante anche i livelli nutrizionali, attenzione e cura igienica e la condizione economica.
Essendo una patologia cronica non esiste un trattamento in grado di eliminarla del tutto ma metodi per una buona convivenza ci sono. Tuttavia, come dicevamo in apertura, il periodo di pandemia ha portato a molte sorprese, specialmente per i medici che si occupano di monitorare pazienti asmatici.
Asma e Coronavirus: pericolo scampato
Agli albori della pandemia medici di tutto il mondo sono entrati in allarme: i virus respiratori come il Coronavirus sono noti fattori scatenanti di attacchi di asma. La preoccupazione è che con questo nuovo virus sconosciuto in circolazione potessero esserci casi più gravi dovuti alla congiunzione tra la Covid19 e l’asma. In realtà, durante la pandemia, in tutto il mondo gli attacchi di asma sono crollati e i pazienti affetti da questa condizione si sentivano molto meglio rispetto al periodo pre-Covid19[3].
Un cambiamento enorme, come vedremo a breve con i numeri raccolti durante una ricerca, riscontrabile sia tra i soggetti con asma da infiammazione che tra coloro affetti da asma dovuto a fattori ambientali. Che gli asmatici abbiano smesso di andare in ospedale per paura del contagio? Si era ipotizzata anche questa possibilità, smentita poi da questa ricerca.
E se il problema fossero (ancora una volta) i virus?
Il caso ha voluto che il Dottor Elliot Israel abbia dato avvio al suo progetto di ricerca denominato PREPARE nel 2018, prima dello scoppio della pandemia, coinvolgendo adulti neri, ispanici o latini (generalmente affetti da forme più gravi rispetto ai bianchi) con asma. L’intenzione dello pneumologo statunitense era quello di confrontare due metodi di somministrazione di farmaci per l’asma a lungo termine. Nell’indagine sono stati coinvolti 1201 pazienti, arruolati sino a marzo 2020, proprio a ridosso delle chiusure generalizzate dovute al Coronavirus.
La sorpresa è stata quella di non trovare malati Covid con asma così come si osservava una diminuzione degli infarti e di ictus nella popolazione. Perché? Ai partecipanti era stato chiesto di compilare con cadenza mensile dei questionari: dalle testimonianze dei soggetti asmatici si è osservata una diminuzione degli attacchi del 40%.
Coloro i quali erano soliti spostarsi per recarsi in ufficio registravano il calo maggiore (-65%) rispetto a chi era già abituato a lavorare da casa (-23%). I ricercatori hanno ipotizzato che la causa fosse la minore esposizione ai virus e allo stress sul posto di lavoro.
L’asma e le buone pratiche anti-contagio
A quanto pare le buone pratiche da tenere a mente durante la pandemia si sono rilevate utili anche per prevenire gli attacchi di asma. Sì alla mascherina e al distanziamento sociale come carte vincenti. Non sono da escludere anche altri fattori che potrebbero aver dato ulteriore giovamento come la maggiore regolarità nell’assunzione dei farmaci dovuta alla maggiore permanenza in casa e/o la minore esposizione a prodotti chimici e inquinanti.
C’è un però. Se davvero il contatto con agenti chimici e inquinanti fosse così determinante nel far scaturire attacchi d’asma, in alcuni casi si sarebbe dovuto osservare un aumento degli episodi ma così non è stato. È questa considerazione ad aver convinto i ricercatori della predominanza dei virus nello scatenare questi episodi. Cosa fare quindi? In attesa di avere un maggior numero di dati, anche da altri studi nel mondo, i medici sono propensi a suggerire ai propri pazienti di continuare ad indossare la mascherina anche a pandemia conclusa. Più facile a dirsi che a farsi.
[1] Epicentro, “Asma: situazione epidemiologica”. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.epicentro.iss.it/asma/epidemiologia
[2] Epicentro, “Asma: informazioni generali”. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.epicentro.iss.it/asma/
[3] Sara Zhang, “Doctors Might Have Been Focusing on the Wrong Asthma Triggers”, The Atlantic, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.theatlantic.com/health/archive/2021/07/the-pandemic-drove-asthma-attacks-down-why/619396/?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=0239f92b44-briefing-dy-20210713&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-0239f92b44-46136706
Autore articolo
Martina Shalipour Jafari
Redattrice
Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
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