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Migrazioni invisibili

Quattro donne, un collettivo curatoriale e un museo dal concept decisamente innovativo

Copertina OTO

“Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato”[1].

È così che Marco Polo, il viaggiatore visionario protagonista de Le città invisibili di Italo Calvino, descrive all’imperatore dei Tartari la città di Zaira, una delle cinque città della memoria, attraverso il cui racconto l’autore riesce a rendere “possibile l’impossibile [e] visibile l’invisibile[2].

Sono passati ormai quasi 50 anni dalla sua pubblicazione, eppure Le città invisibili continua ad esercitare una grande forza ispiratrice. È anche da Calvino, infatti, che le due curatrici artistiche, Francesca Ceccherini ed Eleonora Stassi, hanno tratto ispirazione quando, in tempi recentissimi, hanno deciso di fondare un collettivo e di chiamarlo Zaira Oram. Oltre alla Ceccherini e alla Stassi, vi fanno parte anche Chloé Dall’Olio e Camille Regli.

In un’intervista rilasciata ad Artribune, le due fondatrici hanno dato delucidazioni in merito a Zaira Oram, spiegando che si tratta di “un collettivo curatoriale che sviluppa display sperimentali e progetti multidisciplinari[,] [con] un’identità aperta che viaggia e si trasforma lungo il suo percorso”[3]. Il loro progetto è quello di indagare la contemporaneità affrontando temi caldi come quello della migrazione.

In che modo, allora, Zaira Oram ha deciso di avviare  e far procedere questa sua indagine? Proponendoci di migrare, molto semplicemente, ovvero invitandoci ad andare al di là dei confini di una forma artistica puramente visibile. È questo l’intento con cui, dopo la nascita di Zaira Oram, Francesca Ceccherini ed Eleonora Stassi hanno creato l’OTO Sound Museum, “[i]l primo «museo invisibile» per «opere invisibili»”[4].

Il progetto è nato nel 2020 durante il tempo del confinamento. Il tempo anche della ri-semantizzazione forzata dei nostri confini e della libertà di spostamento degli individui. L’idea di OTO è cresciuta […] osservando la reazione del sistema culturale di fronte alla chiusura dei luoghi dell’arte […]: improvvisamente tutto è divenuto immagine […].

— Artribune

L’OTO Sound Museum

Ce lo dice il nome: si tratta, per l’esattezza, di un museo del suono: “oto” è, infatti, una parola giapponese che ha proprio tale significato. Ma “oto” – dal grecoοὖςὠτός“, ovvero “orecchio” – è anche il primo elemento di quelle parole composte che, in italiano, “indica[no] relazione con l’organo dell’udito”[5].  A tal proposito, ricordiamoci, inoltre, che gli antichi greci e romani credevano che la memoria risiedesse proprio nell’orecchio. Ecco, dunque, che ritornano Calvino e la sua città, e che nel nome del museo ritorna, quindi, anche quello del collettivo.

Inner ear - OTO

L’udito è l’apparato che più di ogni altro […] è in grado di intercettare esperienze con l’invisibile […]. Questo è uno dei motivi per cui ci siamo rivolte al suono, un linguaggio […] che si muove libero nel tempo e nello spazio […] . Il suono è […] da sempre il linguaggio della protesta capace di superare i molti confini che abitano la nostra civiltà.

— Artribune

Se si è chiarita l’identità delle sue opere, invisibili perché sonore, resta ancora da chiarire il perché dell’invisibilità del museo stesso. In sostanza, l’OTO Sound Museum, inaugurato virtualmente lo scorso 21 gennaio, non è fisicamente visitabile, ma lo è solo digitalmente.

Digitale, ma anche analogico

La collezione di paesaggi sonori del museo è allestita su una piattaforma online ed è accessibile gratuitamente[6]. Ci sarà, per l’esattezza, una sola opera disponibile a cadenza mensile. In seguito, a partire dalla collezione verrà creato anche un archivio. Il programma per il 2021 è stato già reso noto.

Sebbene si tratti di esibizioni digitali, tuttavia, sono state previste anche delle installazioni sonore e delle performance live presso quattro istituzioni partner: (in ordine cronologico) il MigrationsMuseum di Zurigo, di cui Eleonora Stassi è curatrice;  La Voire di Bienne; il Kunst Halle Sankt Gallen di San Gallo; la rada di Locarno. Sia il collettivo che il museo sono supportati dalla fondazione svizzera Pro Helvetia.

Quanto a coloro che sono stati invitati a collaborare al progetto, si tratta di dieci artisti tra loro differenti sia per pratica che per provenienza geografica.

La prima opera d’arte sonora, dal titolo Various vibrating materials, è firmata Zimoun ed è realizzata – come tutte le altre opere dell’artista svizzero – con oggetti d’uso quotidiano e/o industriale, disposti in modo tale che, attivandone il movimento oscillante o rotante, questi producano del suono.

Il cenotafio di Newton

All’OTO Sound Museum è stata data un’architettura digitale concepita come un “cosmo iconoclastico”[7], composto di due sfere e ispirato al Cenotafio di Newton, la celebre utopia dell’architetto francese Étienne-Louis Boullée.

Cenotafio - OTO

Con il termine “cenotafio” si fa riferimento ad un “monumento sepolcrale, innalzato in onore di qualche illustre defunto, senza che il suo cadavere vi sia effettivamente sepolto”[8]. L’architetto francese progettò, infatti, il suo cenotafio in onore di Isaac Newton, nel 1784. Purtroppo, però, l’opera non andò mai oltre questa prima fase progettuale.

Si tratta comunque del lavoro meglio conosciuto di  Étienne-Louis Boullée e di un perfetto esempio di “architettura rivoluzionaria”, così detta per il suo proporre, proprio alla vigilia della grande révolution, un sovvertimento dell’architettura classica, in una maniera così visionaria per l’epoca da risultare utopica.

Nel progetto di un cenotafio per Newton[…], Boullée celebrava la scienza sperimentale attribuendo all’eroe della nuova cosmologia un mausoleo che presuppone e moltiplica quelli di Augusto e di Adriano.

— Salvatore Settis

Il progetto prevedeva la costruzione di una sfera cava gigante: la sua altezza avrebbe dovuto superare, infatti,  i 150 m. L’emisfero inferiore avrebbe dovuto poggiare su un terrazzamento che sarebbe servito da sostegno anche per l’emisfero superiore. Inoltre, si sarebbero dovuti realizzare tre basamenti esterni e vi si sarebbero dovuti collocare tre anelli concentrici di cipressi, esattamente come si era soliti fare per i mausolei antichi. La base della cavità del cenotafio sarebbe stata occupata solamente da un sarcofago commemorativo. Si sarebbero dovute realizzare, però, anche delle particolari aperture nella calotta, di modo tale che, filtrando la luce durante il giorno, nella cavità della sfera venisse riprodotta la volta celeste con tutte le sue costellazioni. Durante la notte, invece, una sfera armillare sospesa al centro di questa cavità sferica avrebbe dovuto illuminarla a giorno[9].

Come onorare le spoglie dell’insigne scienziato inglese se non riponendole in un universo in miniatura?

Il cenotafio di Newton avrebbe dovuto provocare nell’osservatore un effetto di spaesamento, proprio come se questi si ritrovasse a contemplare l’immensità dell’Universo. Doveva trattarsi, dunque, di una costruzione dalle geometrie semplici, ma evocativamente complesse: vi avrebbero dovuto confluire, infatti, niente meno che tutti gli ideali dell’Illuminismo[10].


[1] Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano, 2016.

[2] Redazione Oscar, “Da Le città invisibili a Palomar: la letteratura combinatoria di Italo Calvino”. Disponibile al seguente indirizzo https://www.oscarmondadori.it/approfondimenti/da-le-citta-invisibili-a-palomar-la-letteratura-combinatoria-di-italo-calvino/.

[3] Giula Ronchi, “Il primo «museo invisibile» per «opere invisibili»”: nasce OTO Sound Museum”, Artribune, 4 gennaio 2021. Disponibile al seguente indirizzo https://www.artribune.com/progettazione/new-media/2021/01/primo-museo-invisibile-opere-invisibili-oto-sound-museum/.

[4] Ibidem.

[5] Treccani, “Oto-“. Disponibile al seguente indirizzo https://www.treccani.it/vocabolario/oto/.

[6] Redazione, “Una collezione di paesaggi sonori per il nuovo Oto Sound Museum”, Exibart, 22 dicembre 2020. Disponibile al seguente indirizzo https://www.exibart.com/progetti-e-iniziative/arte-oto-sound-museum/.

[7] OTO Sound Museum, “Concept”. Disponibile al seguente indirizzo https://oto.museum/index.php?page=concept.

[8] Treccani, “Cenotafio”. Disponibile al seguente indirizzo https://www.treccani.it/vocabolario/cenotafio.

[9] Cfr. Wikpedia, “Cenotafio di Newton”. Disponibile al seguente indirizzo https://it.wikipedia.org/wiki/Cenotafio_di_Newton#CITEREFSS.

[10] Ibidem.

Autore articolo

Federica Fiorletta

Federica Fiorletta

Redattrice

Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.

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