Dedicata ai primi due anni di un piccolo navigante
James Cameron non è solamente un regista cinematografico.
James Cameron è un avventuriero, un ulisside, un eroe della macchina da presa che ama tentare l’impossibile: come l’Ulisse dantesco, anche Cameron ha più volte varcato i limiti della grammatica filmica per desiderio di conoscenza, con la consapevolezza di voler tentare la conquista di ciò sui cui mai s’è posato lo sguardo umano. James Cameron è un esploratore di mondi sommersi e sconfinati che vivono e albergano nelle profondità. Egli utilizza il cinema per attraversare l’invisibile e donare agli spettatori la possibilità di creare un varco di percezione che mostra ciò che dalla superficie è stato lasciato sprofondare giù. Se provassimo ad osservare la produzione cinematografica di James Cameron ci renderemmo conto di quanta attenzione il regista dedichi alla elaborazione del nascosto, ad una declinazione del profondo che solamente il cinema può riportare alla luce. Tale è l’impresa, il folle volo tentato dal regista nel 1989 quando gira l’inquietante e meraviglioso The Abyss.
Il film è un’avventura che coniuga le profondità con una elaborazione straordinaria di una tecnica cinematografica che il regista svilupperà in tutti i suoi capolavori a venire. The Abyss è il fondo della ricerca cameroniana dell’innovazione, della sperimentazione e della luce della conoscenza che dagli abissi si manifesta attraverso una messa a fuoco della macchina da presa che si fa scoperta e svelamento, osservazione dettagliata ed elaborazione fanta-scientifica, reperto e mistero.
James Cameron, dagli anni ’80 ad oggi, è un poeta dell’abisso che ci guida alla scoperta di mondi sotterranei e, il più delle volte, subacquei dato che pare aleggiare sulla propria capacità immaginativa lo spettro dell’antica Atlantide che, come canta Franco Battiato nella splendida canzone del 1993 (“[…] Apparve Atlantide. / Immenso, isole e montagne, canali simili ad orbite celesti […]”[1]) si manifesta in tutta la propria geometrica presenza ad immagine speculare ed imitazione del cosmo.
The Abyss – Il trailer (EN)
Dalla terra all’acqua, dall’aria all’immenso Oceano di Nettuno, la poetica di Cameron affonda e riemerge attraverso strumenti cinematografici e tecniche di ripresa di stampo avveniristico: il sommerso è possibile coglierlo solamente attraverso una innovazione tecnologica delle pratiche filmiche. Non è possibile giungere al fondo degli abissi senza un’apparecchiatura adatta che si immerge, mostra e riemerge svelando la natura sepolta delle cose nascoste, la straordinaria e dilagante immensità dei continenti sommersi, delle meraviglie o delle cose terribili che si celano sotto gli 1,4 milioni di chilometri cubi di acqua che avvolgono il nostro pianeta.
Nel fondo delle acque vivono minacce e promesse di eternità di cui l’occhio umano non ha mai fatto esperienza diretta e solamente il meccanismo cinematografico può permetterne la visione, l’elaborazione e la conoscenza.
Da Piraña Paura (1981) al pionieristico e definitivo Avatar del 2009, ciò che ha affascinato per ventotto anni lo sguardo immersivo del regista è la profondità, il sommerso, il fondo più fondo di tutte le cose, il punto più nascosto in cui l’occhio umano non è più sufficiente. Occorre qualcos’altro per poter conoscere il mondo sommerso e tale alterità è ben presente in The Abyss poiché viene manifestata attraverso un’esperienza cinematografica che mostra, a quasi ottomila metri sotto il livello del mare, la ricerca di una presenza antichissima che non necessita semplicemente di essere ridestata o portata alla luce, ma tematizza l’esigenza di un racconto delle profondità all’interno del quale solamente il cinema può permettersi di traghettarci.
The Abyss, quindi, non è semplicemente il racconto di un’avventura sottomarina, ma realizza concretamente ciò che i grandi maestri del cinema delle origini tentarono di voler dimostrare attraverso le loro prime sperimentazioni: dare luce e forma ai sogni, agli incubi ed alle paure sommerse nell’inconscio dell’essere umano. È proprio l’inconscio la rappresentazione concreta dell’abisso in cui l’uomo ha sepolto i desideri reconditi, il represso che vive – quasi fosse il relitto di un’antichissima nave sommersa che non può non ricordare la nave tombale di Sutton Hoo scoperta dall’archeologo britannico Basil Brown negli anni ’30 del Novecento (un’incredibile storia vera raccontata nel recentissimo film diretto da Simon Stone e interpretato da Ralph Fiennes: La nave sepolta, 2021) – nel sottosuolo dell’esistenza, nel fondo oscuro degli abissi sconfinati che rappresentano i paesaggi sconosciuti dell’animo umano: la geografia dell’inconscio.
Essere spettatori dell’abisso: a questo ci chiama la maestria filmica di James Cameron poiché l’esperienza dell’immersione nel cuore dell’oceano, verso il livello profondissimo della conoscenza, rappresenta l’avventura più entusiasmante che, in qualità di spettatori, siamo chiamati a vivere attraverso il meccanismo dello sguardo, trattenendo il respiro e sfidando il pericolo della morte e dell’annegamento. Il cuore dell’oceano – non può non venire in mente il cuore del drago marino dato in pasto all’addoloratissima regina de Il racconto dei racconti di Matteo Garrone (2015) per favorirle la tanto desiderata gravidanza – vive sepolto nelle profondità marine come una promessa o una disfatta: il cuore dell’oceano è l’abisso della conoscenza di sé che solo un’esperienza immersiva può innescare proprio attraverso la tecnica cinematografica: l’arte svela le profondità nascoste.
A dieci anni di distanza da The Abyss, proprio da quegli stessi abissi sconfinati, James Cameron fa riemergere e sprofondare il Titanic dopo ottantacinque anni dalla fatidica notte del 15 Aprile 1912, colpendo e affondando i cuori di tutti noi e lasciandoci annegare, assieme a Jack e Rose, nelle acque dei ricordi, placide e tormentate, che attraversano lo sguardo e accarezzano le nostalgie. Il cinema non è altro che lo specchio attraverso cui lasciar riflettere e splendere ogni nostra nostalgia.
[1] Franco Battiato, Caffè de la Paix (album), EMI, 1993.
Autore articolo
Ivano Capocciama
Regista e insegnante
Insegnante di lettere, studioso di teatro, mi occupo di regia e drammaturgia. Il mio lavoro artistico passa attraverso la letteratura drammatica moderna e contemporanea, la storiografia teatrale europea, i Teatri Laboratorio, l’Antropologia Teatrale e, soprattutto, i rapporti tra drammaturgia e spettacolo. Dal 2004 collaboro con vari istituti scolastici e scuole di recitazione, in qualità di regista, insegnante di movimento scenico, training attoriale, pratiche di messa in scena e studi di arte scenica per cantanti lirici.