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Enrico VIII e Vincent Van Gogh: due grandi della storia vittime di loro stessi

Genio e sregolatezza: quando il DNA ci mette lo zampino

Enrico VIII e Vincent Van Gogh

Abbiamo già parlato in un nostro precedente articolo di quanto la storia sia intrisa di episodi in cui le malattie e la genetica abbiano giocato un ruolo importante, anche se i protagonisti non ne erano pienamente consapevoli. Esempi lampanti sono le figure di Enrico VIII e Vincent Van Gogh, vittime, entrambi, di alcune patologie che li hanno resi quello per cui tutto il mondo li ha conosciuti: il primo, un re, un despota e promotore dello scisma con la Chiesa di Roma; il secondo, un pittore ritenuto pazzo, suicida a 37 anni.

Ma entrambi i protagonisti di questo articolo altro non erano che malati in una società in cui non vi erano la conoscenza, i mezzi e la sensibilità necessari a proporre una diagnosi e conseguente cura. Purtroppo a distanza di tanto tempo, oltre quattro secoli ci separano dal sovrano britannico, si possono avanzare solo ipotesi. Tuttavia, crea grande suggestione l’idea che determinate patologie, per quanto non suffragate da evidenze empiriche, possano aver giocato un ruolo così importante nella vita di questi due personaggi.

Enrico VIII e il tanto agognato erede maschio

Re d’Inghilterra dal 1509 sino al giorno della sua morte, Enrico VIII (1491-1547) è rimasto celebre per le vicende legate ai suoi numerosi matrimoni e al conseguente scisma dalla Chiesa di Roma, contraria al divorzio. Ma perché scelse di separarsi dalle sue diverse mogli, alcune delle quali finirono decapitate? Gli storici parlano, negli anni della sua giovinezza, di un uomo capace, intelligente, molto bello e stimato in tutte le corti d’Europa. Un uomo che improvvisamente, da massima espressione di cortesia, si trasforma in carnefice delle proprie consorti. Il suo cruccio, come la maggior parte delle dinastie al mondo, era il suo lascito ad un erede maschio. Erede che non riuscì ad avere. Ma c’è qualcosa di più.

Nonostante si siano sposati molto giovani, diciottenne lui, ventitreenne la sua prima moglie, Caterina d’Aragona, nei tanti anni di matrimonio ebbero sei figli, di cui una sola femmina superstite, Maria[1]. Un maschio riuscì a sopravvivere alla gravidanza e al parto ma solo per morire 52 giorni più tardi. Stessa sorte per le donne successive. Anna Bolena riuscì a dare alla luce la prima figlia femmina, Elisabetta, ma poi seguirono tutte gravidanze interrotte. Stessa sorte per le altre quattro spose e le numerose amanti del sovrano. La maggior parte delle gravidanze si concludevano con aborti spontanei. Fu la terza moglie, Jane Seymour, a dargli l’agognato erede maschio, Edoardo che purtroppo morì a 17 anni. Furono le due figlie sopravvissute, Maria, fervente cattolica, e Elisabetta, anglicana, a contendersi il trono alla morte del fratello maschio. Il resto, come si dice, è storia.

Enrico VIII - Elisabetta I
Elisabetta: figlia di Enrico VIII e Anna Bolena

Le ipotesi di patologie di Enrico VIII: lo scorbuto

Sul perché del comportamento dell’uomo più importante d’Inghilterra si sono interrogati in tanti. Se, infatti, da un lato è comprensibile la forte volontà di avere un erede maschio, molti altri atteggiamenti hanno destato la curiosità di diversi scienziati che, carte alla mano, hanno cercato di studiarne la storia clinica. In un articolo di Repubblica del 1989[2], si riporta la notizia di uno studio, una rievocazione redatta dall’accademica Susan Maclean Kybett, secondo cui Enrico VIII sarebbe morto di scorbuto. Si tratta di una patologia conosciuta sin dall’antichità ed è legata alla carenza della vitamina C (acido ascorbico). Chi soffre di scorbuto generalmente sviluppa anemia, debolezza, stanchezza, edema in diverse parti del corpo e, nei casi più seri, ulcerazioni delle gengive e perdita dei denti.

Non è un segreto che gli uomini dell’epoca mantenessero una dieta ricca di grassi e proteine, grazie alle abbondanti pietanze a base di cacciagione, e povera di frutta e verdura. Ciò avrebbe portato il sovrano a diventare oltremodo obeso (al momento della sua morte pesava circa 180 kg per un 1,80 metro di altezza) e a soffrire di scorbuto. Un ambasciatore dell’epoca parla di un uomo con le gambe gonfie oltre l’immaginabile. In più, si sa che era irritabile, aveva un viso rosso paonazzo, uno stomaco enorme, soffriva di costipazione, vaghezza, con forte propensione a raffreddori e polmoniti.

Le ipotesi di patologie di Enrico VIII: i traumi cranici

Ma le ipotesi sulle sue patologie non si fermano qui. In un articolo più recente[3] di Focus si riporta un’altra possibilità proposta da due neurologi ricercatori dell’Università di Yale, Muhammad Qaiser Ikram e Fazle Hakim Saijade. Studiando i documenti dell’epoca, ritengono che ripetuti traumi cranici potrebbero spiegare gli impulsi, l’insonnia e la presunta impotenza che afflissero il re negli ultimi dieci anni di vita. Le cause di questi traumi? Giostre e combattimenti tra cavalieri, a cavallo e non. Dagli annali hanno ritrovato tre possibili episodi che potrebbero esserne state la causa:

  • Nel 1524 Enrico VIII, mentre giostrava, fu raggiunto da una lancia che gli entrò nel visore dell’elmo e lo lasciò intontito per diverso tempo;
  • Nel 1525 cadde di testa mentre cercava di saltare da una sponda all’altra di un ruscello armato di asta;
  • Nel 1536 cadde da cavallo durante una giostra e rimase privo di sensi per oltre due ore.

Secondo i due ricercatori fu proprio quest’ultimo episodio a dar avvio al cambiamento nel comportamento del re e da quel momento iniziarono anche i sintomi di una depressione. Ma le possibili diagnosi non finiscono qui.

Enrico VIII giostra

Le ipotesi di patologie di Enrico VIII: la sindrome di McLeod

L’ultima ipotesi[4] che riportiamo è quella proposta dalla bioarcheologa Catrina Banche Whitley e dell’antropologa Kyra Kramer, secondo le quali Enrico VIII sarebbe stato affetto dalla sindrome di McLeod. Si tratta di una malattia estremamente rara, in tutto sono 150 i casi documentati al mondo, ma che spiegherebbe l’aumento di peso, i problemi alle gambe, le paranoie e gli episodi psichiatrici comparsi dopo i quaranta anni.

La sindrome da neuroacantocitosi di McLeod (MLS) è una forma di neuroacantocitosi caratterizzata, clinicamente, da un fenotipo Huntington-simile con disturbi ipercinetici involontari, sintomi psichiatrici e alterazioni cognitive e, a livello biochimico, dall’assenza dell’antigene Kx e da una debole espressione degli antigeni Kell[5].

L’esordio della malattia avviene in età adulta, tra i 25-60 anni, e può durare oltre i trent’anni. Si tratta di una malattia recessiva legata al cromosoma sessuale X. Facilmente confondibile con la malattia di Huntington a causa dei sintomi simili, la MLS è causata dalla mutazione di XK che codifica la proteina XK, compreso l’antigene eritrocitario. Lo spettro dei sintomi è molto vasto: disturbi ipercinetici come tic, spasmi, crampi, contrazione e iperattività; sintomi psichiatrici, come dicevamo, e alterazioni cognitive (a livello biochimico); problemi cardiaci.

Il caso di alloimmunizzazione di Anna Bolena

I maschi affetti dalla malattia, come nel caso di Enrico VIII, trasmettono il cromosoma X mutato alle figlie, la cui prole maschile avrà una probabilità su due di sviluppare la MLS mentre quella femminile di essere portatrice sana. Ebbene, sarebbe proprio questo gene ad aver causato gli aborti nelle mogli ed amanti del re britannico e con Anna Bolena, si è avuto un caso da manuale di alloimmunizzazione. Dopo il primo parto andato a buon fine con la nascita, lo ricordiamo, di Elisabetta, la regina Anna non è più stata in grado di portare a termine le proprie gravidanze.

La presenza sulle emazie fetali di antigeni che la madre non possiede può dar luogo ad un processo di immunizzazione nel caso in cui si abbia il passaggio di eritrociti fetali nel circolo materno[6].

Il sistema immunitario delle consorti rispondeva all’antigene mutato creando una immunizzazione. Questa la causa scientifica che spiegherebbe il perché delle importanti ripercussioni storiche come la nascita della Chiesa anglicana. Come dicevamo in apertura, non c’è una evidenza scientifica che confermi o meno queste ipotesi. A quanto sappiamo, la richiesta di riesumazione delle spoglie del sovrano fatta pervenire alla Regina Elisabetta II sarebbe rimasta senza risposta.

Il caso emblematico di Van Gogh

Quello di Vincent Van Gogh è un altro caso esemplare di come la salute cagionevole possa creare un’aura di mistero attorno ad un uomo. Artista famoso in tutto il mondo, dall’esistenza tormentata, tanto che si tolse la vita all’età di 37 anni, Van Gogh vanta un record: è una delle persone al mondo con il maggior numero di diagnosi sulle cause che lo hanno portato alla morte. Ovviamente non ci riferiamo alle circostanze del suicidio, ma delle patologie pregresse che lo hanno reso ciò che era.

Una delle possibili patologie che gli sono state diagnosticate, ovviamente a posteriori, è la porfiria acuta intermittente[7], malattia metabolica genetica rara che presenta uno spettro di sintomi ampio. Anche in questo caso ci si è affidati ai documenti dell’epoca. L’artista, confidandosi con amici e familiari, nei primi anni di comparsa dei sintomi parlava di debolezza e spossatezza che interessavano tutto il corpo. Verso la fine le sue parole esprimono l’aggravarsi della malattia: si sentiva irrequieto, ansioso, debole, confuso e tanto, tanto stanco. Aveva dolori di stomaco, febbre a ridosso di alcune crisi, allucinazioni. Oggi la porfiria è conosciuta come un accumulo di sostanze tossiche per i neuroni che può aggravarsi senza un adeguato stile di vita, cosa a cui non si prestava attenzione verso la fine dell’800.

Ma ci sono altre due ipotesi riguardo lo stato di salute di Van Gogh. Henri Gastaut ritiene che il pittore fosse affetto da epilessia del lobo temporale mentre altri ritengono che fosse bipolare. Quale che sia la diagnosi corretta, ciò che è certo è l’incapacità degli uomini del tempo di valutare lo stato psico-fisico di Van Gogh e di curarlo adeguatamente. Se si fossero presi cura della sua malattia, probabilmente, avrebbe potuto vivere di più e meglio ma si sa… la storia è già scritta e con i “se” non si va da nessuna parte.


[1] Osservatorio Malattie Rare, “Il mistero di Enrico VIII, il re potrebbe essere stato affetto dalla malattia di McLeod”, 2011. Consultabile al seguente indirizzo https://www.osservatoriomalattierare.it/storie/505-il-mistero-di-enrico-viii-il-re-potrebbe-essere-stato-affetto-dalla-malattia-di-mcleod

[2] La Repubblica, “RE ENRICO VIII MORI’ DI SCORBUTO”, 1989. Consultabile al seguente indirizzo https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/08/31/re-enrico-viii-mori-di-scorbuto.html

[3] Focus, “La follia di Enrico VIII? Frutto di traumi cerebrali”, 2016. Consultabile al seguente indirizzo https://www.focus.it/cultura/storia/la-follia-di-enrico-viii-frutto-di-traumi-cerebrali

[4] Osservatorio Malattie Rare, op. cit.

[5] Orpha, “Sindrome da neuroacantocitosi di McLeod”. Consultabile al seguente indirizzo https://www.orpha.net/consor/cgi-bin/OC_Exp.php?Lng=IT&Expert=59306#:~:text=La%20sindrome%20da%20neuroacantocitosi%20di,da%20una%20debole%20espressione%20degli

[6] Borrelli AL, “Alloimmunizzazione Rh e malattia emolitica feto-neonatale”, 2008. In: Medicina dell’età prenatale. Springer, Milano. https://doi.org/10.1007/978-88-470-0688-1_18

[7] Policlinico di Milano, “Il genio e la malattia: van Gogh, la porfiria, l’arte”, 2019. Consultabile al seguente indirizzo https://www.policlinico.mi.it/beniculturali/news/2019-10-10/1140/il-genio-e-la-malattia-van-gogh-la-porfiria-larte

Autore articolo

Martina Shalipour Jafari

Martina Shalipour Jafari

Redattrice

Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
Instancabile lettrice e appassionata di cinema.
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