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Malattie invisibili: quel fischio chiamato acufene

Tra accettazione e inclusione

malattie invisibili

Solo da poco la nostra società ha iniziato a parlare di inclusione anche in termini strutturali, logistici, partecipativi, delle persone che mostrano visibilmente una patologia che li rende “soggetti a cui va rivolta una mirata attenzione.” Banalmente, mi riferisco alle rampe per chi è costretto su una sedia a rotelle, oppure – ancora più banalmente – ai posti riservati in autobus o nei luoghi pubblici, o ancora – iper banalmente – a quel nostro atteggiamento di “premura” e considerazione che adottiamo quando ci troviamo a interfacciarci con loro.
Ma si è aperto un nuovo dialogo, forse invisibile, forse più urgente, e riguarda tutte quelle persone che soffrono di serie patologie che non lasciano segni al di fuori, ma che dentro ti logorano fino allo stremo.

Malattie invisibili: “quel fischio nella testa che mi fa impazzire”

È una delle principali malattie invisibili, ma non è tra le più chiacchierate.
Consiste in un fischio (il suono può variare, sia di modalità che di intensità) costante che risuona nell’orecchio e, conseguentemente, anche nella testa. Le cause scatenanti possono essere molteplici, dall’esposizione a fortissimi rumori, a conflitti neurovascolari, o ancora problemi dell’articolazione temporomandibolare, contratture muscolari, stress emotivo[1]. Rumori, fischi, fruscii, suoni fantasma che nessuno vede e sente al di fuori, ma che torturano il cervello di chi li prova, spingendo a sperimentare soluzioni estreme, come un utilizzo costante delle cuffiette con la musica, anche di notte.
La quotidianità improvvisamente non è più la stessa, come accade anche per altre patologie. La differenza però, sta tutta nella testa (di chi la vive). Una sofferenza invisibile, complicata anche da diagnosticare, che lascia spazio a molta immaginazione, attraverso critiche e pregiudizi.

A raccontarci meglio di come ci si sente è Giada, una ragazza di 25 anni che soffre di acufene da cinque.

Ciao Giada, iniziamo con la tua intervista. Sei pronta? Quando hai scoperto che quel fischio che sentivi nell’orecchio era acufene?
Ho scoperto di avere l’acufene nella notte tra il 31 marzo e il 1° aprile del 2018; sono trascorsi ormai quasi 5 anni, eppure a me sembra come fosse successo ieri. Durante quella notte mi svegliai all’improvviso con questo fortissimo fischio alle orecchie che, inizialmente, pensavo provenisse dall’esterno. Svegliai mia sorella per chiederle se anche lei sentiva lo stesso fischio che sentivo io, purtroppo la risposta non fu positiva. Proveniva dalle mie orecchie. Inutile dire che ho passato la notte insonne (come le moltissime altre notti che susseguirono) pensando che mi stesse succedendo una delle cose più brutte che potesse mai succedermi: non sentivo più il silenzio.

Come hai reagito alla diagnosi della patologia? Sei stata da uno specialista?
In realtà l’acufene me lo sono, in un primo momento, diagnosticato da sola.
Avevo 20 anni ed ero totalmente spaventata da questa strana condizione: sentivo solo e soltanto il fischio, soprattutto la notte e in situazioni di estremo silenzio. Era complicato anche spiegare alla mia famiglia quello che stava succedendo, pensavano tutti fosse una condizione passeggera, dovuta al violento raffreddore che avevo avuto nel mese precedente.
Dopo una visita all’otorinolaringoiatra siamo arrivati alla conclusione che si trattasse di acufene ad entrambe le orecchie.

Ricordi qualcosa del primo periodo in cui è comparso il fischio nella tua vita?
Ricordo tutto. Ricordo il fastidio, ricordo lo spavento per aver appreso che, una volta che ti viene l’acufene, poi non passa più, ricordo le notti insonni e soprattutto il mio costante stato di panico. Ricordo i tentativi di “coprire” il fischio con le più disparate tecniche che trovavo sul web, per poter finalmente riuscire a riposare il cervello.

Hai condiviso la tua esperienza con altri? Sentivi il bisogno di parlarne con qualcuno che capisse ciò che stavi provando in quel momento?
La cosa che mi è venuta più naturale da fare è stata ricercare vari gruppi di supporto in cui altri “acufenizzati” raccontavano la loro esperienza, si scambiavano consigli e si davano supporto a vicenda. In questi gruppi ho conosciuto e chiacchierato con molte persone, affette da tante tipologie diverse di fischio, che mi hanno raccontato la loro esperienza e i loro stati d’animo. C’era chi lo aveva da 20 anni, chi lo aveva appena scoperto come me, chi si era rassegnato, chi aveva imparato a conviverci e chi era sempre alla ricerca di una “cura”, provandole tutte.

Ti sono serviti ad accettare la tua condizione?
Non nego che far parte di questi gruppi di supporto è stata un’arma a doppio taglio: inizialmente mi erano davvero di aiuto, sapere che non sei solo è una grande sensazione di sollievo; successivamente però mi sono resa conto che parlare con queste persone mi stava facendo solamente ripiombare nel circolo vizioso: sento il fischio – ci penso sempre – lo sento ancora più forte e presente.

La tua famiglia come ha reagito alla diagnosi? E in che modo ha provato a darti supporto?
Inizialmente è stato difficile far capire alla mia famiglia cosa stessi provando, dato che parliamo di una patologia “invisibile”. Mi hanno portato da uno specialista e, mio padre, ancora adesso a distanza di 5 anni ogni tanto fa uscire qualche nuovo medico da provare. Mia madre cercava di comprendermi e insieme a lei e a mia sorella siamo anche andate a fare un paio di sedute dalla psicologa. Mi è stato molto utile e di grande aiuto. Inoltre, i miei genitori hanno anche acconsentito a prendere un cucciolo di cane, pensando potesse servire a svagarmi e focalizzare la mia attenzione su altro. È stato uno dei gesti più belli che ricorderò per sempre.

Come è cambiato il tuo stato d’animo nel corso degli anni? Hai “fatto amicizia” con il tuo acufene?
Lo stato perenne di ansia e panico legato al fischio è sparito.
Risolvendo i problemi d’insonnia e di ansia, di conseguenza, si sono risolti tutti gli altri: la mia attenzione è focalizzata altrove, focalizzata a “vivere la vita” e non solo sul fischio. Mi tengo impegnata con l’università, gli amici, gli hobby, il divertimento e con gli anni ho notato che più “vivevo” e più “si abbassava il volume”. Inizialmente mi ero chiusa in me stessa, stavo a casa, avevo paura di andare in discoteca o ai concerti, in luoghi affollati, in aereo. Anno dopo anno ho vinto io su tutte queste paure e ho capito che non potevo precludermi nulla ma dovevo affrontare le situazioni.

Cosa pensi dell’inclusione nella società per tutte le persone affette da patologie “invisibili” come la tua? In che modo si può sensibilizzare su questo tema?
Penso che in Italia le persone affette da acufene sono più di 6 milioni, eppure se chiedi a una qualsiasi persona per strada, non saprà neanche cosa significhi il termine “acufene”. Le patologie “invisibili” sono orribili poiché solamente tu sai quello che provi e come lo provi. La società dovrebbe mobilitarsi in maniera maggiore per chi soffre di acufene e non solo, magari creando centri appositi, investendo nella ricerca per trovare una soluzione o magari una cura definitiva e riconoscendo anche l’invalidità a chi ne è affetto gravemente, poiché diventa veramente invalidante in alcuni casi, anche se non puoi dimostrarlo a nessuno.
Dovrebbe essere fatta molta più informazione a riguardo, poiché alcune persone che ne soffrono, non sanno neanche di soffrirne e se non ti documenti da solo, nessuno te lo spiega.
Devo invece ringraziare il mondo della musica, soprattutto Caparezza, affetto da acufene da anni a causa del suo lavoro di musicista e cantautore, che ha addirittura scritto una canzone facendo si che, chiunque “acufenizzato” possa identificarsi nelle sue parole e, gli altri dall’udito sano, possano comprendere.

Malattie invisibili: nel segno dei girasoli

Nel 2016, l’associazione britannica Hidden Disabilities, che si occupa di disabilità invisibili (cioè che non si vedono a occhio nudo), ha proposto l’utilizzo di un nastro verde con dei girasoli da indossare intorno al collo come simbolo identificativo di una malattia che non si vede al di fuori.
Questo “escamotage” viene utilizzato in molti Paesi, tra cui anche in Italia, e fa in modo che quella persona ottenga la precedenza oppure assistenza qualora ne avesse bisogno. Anche se si tratta di un segno e di un segnale forte, le persone affette da disabilità invisibili devono ogni giorno combattere contro mille barriere, soprattutto sociali, per essere incluso. Ed è bene sapere che l’80% delle disabilità nel mondo sono invisibili[2].


[1] Informazioni da Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri IRCCS, 2020.

[2] Articolo de Il Post, Ci sono disabilità che non si vedono, febbraio 2023, consultabile al seguente link: https://www.ilpost.it/2023/02/07/disabilita-invisibili-nastro-segnalare/#:~:text=Oltre%20a%20segnalare%20in%20modo,di%20corsie%20o%20parcheggi%20riservati.


Autore articolo

Sara Giovannoni

Sara Giovannoni

Redattrice

Copywriter pubblicitario, cinefila, nerd.
 Cerco di vivere la vita sempre con la curiosità e lo stupore di un bambino.
Amo scrivere delle cose che mi appassionano,
ecco perché spero di pubblicare, prima o poi, il mio libro sul Giappone.
 
Intanto keizoku wa chikara nari. 
Se volete, andate a cercare il significato!

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