La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022[1], denominata Cop27, in svolgimento a Sharm el-Sheikh (Egitto) sta volgendo al termine. Al centro, come ogni anno, i temi caldi: la crisi climatica, la necessità di arginare le emissioni di CO2, il sistema di compensazione, come salvare i Paesi che rischiano di scomparire con l’innalzamento del mare e la crisi alimentare. Per menzionarne alcuni. In special modo, la prima settimana di discussione è stata dedicata a un tema rovente: meccanismo di risarcimento verso i paesi più vulnerabili alla crisi climatica[2].
Non si tratta di semplici congetture. “Questa è la realtà del cambiamento climatico: alcune persone ne parlano da lontano, mentre altri devono viverlo ogni giorno”[3]. Ma cosa si sta facendo realmente per queste nazioni?
Cop27: l’appello dei leader delle nazioni insulari
Già lo scorso settembre, nell’ambito di un’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il primo ministro di Tuvalu, Kausea Natano, e il Presidente delle Isole Marshall, David Kabua, hanno fatto appello alle altre nazioni del mondo per salvare il loro Paese.
Gli atolli del Pacifico stanno letteralmente affogando a causa dell’innalzamento del mare: un percorso che appare inesorabile e che ha un impatto sul settore agricolo, sulle abitazioni e sulla viabilità. Consapevoli di queste trasformazioni, le nazioni insulari si sono unite sotto il vessillo della Rising Nations Initiative, una dichiarazione politica a tutela della sovranità e dei diritti di questi Paesi. Lo scopo è quello di assicurare finanziamenti adeguati, da parte di tutti gli altri Stati del mondo, a sostegno dei progetti di adattamento e resilienza ai cambiamenti climatici; per salvaguardare il patrimonio culturale degli atolli del Pacifico e spingere affinché vengano riconosciuti patrimonio mondiale dell’UNESCO.
La questione è seria. Il contributo, in termini di emissioni, di queste nazioni è pari allo 0,03% del totale mondiale eppure sono quelle che stanno subendo le conseguenze maggiori. Il resto del mondo ha, quindi, un dovere morale nei confronti di questi Stati che chiedono a gran voce di intervenire su due settori estremamente inquinanti: quello dell’aviazione e quello marittimo.
Cop27: diventare green vendendo petrolio
A differenza del recente passato, anche i Paesi storicamente più scettici ormai hanno accettato l’evidenza scientifica dell’esistenza dei cambiamenti climatici. In tanti hanno annunciato l’adesione ai piani di riduzione delle emissioni per impedire l’aumento delle temperature oltre il grado e mezzo, tanti ancora hanno sposato la causa degli atolli del Pacifico. Eppure, nonostante gli innegabili sforzi, i tagli alla CO2, allo stato attuale, non sono sufficienti. Paradossale quello che si sta osservando nel Medio Oriente, protagonista sul clima nella Cop27 e nella futura Cop28, in programma negli Emirati Arabi Uniti, ad Abu Dhabi, nel 2023.
“Secondo un rapporto pubblicato da UN Climate Change questa settimana, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sono tra i 26 paesi che hanno aggiornato i loro obiettivi climatici in linea con le promesse fatte l’anno scorso alla COP26 a Glasgow, nel Regno Unito”[4]. Sono proprio i grandi produttori ed esportatori di petrolio, i Paesi dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries), ad aver compiuto la svolta più importante. Dopo decenni passati a negare l’esistenza del climate change e a ostacolare la messa in atto delle azioni per limitare le emissioni, queste nazioni sono quelle che stanno investendo maggiormente nell’adozione di tecnologie rinnovabili.
Tra le principali azioni c’è quella di diversificare le fonti di finanziamento, abbandonando gradualmente il petrolio a favore di energia pulita. “A ottobre, gli Emirati Arabi Uniti sono diventati la prima nazione araba a impegnarsi a raggiungere emissioni domestiche pari a zero entro il 2050”[5].
Cop 27: meno petrolio, più energia pulita
Arabia Saudita e Bahrain hanno fissato il loro obiettivo net-zero al 2060. Il Qatar, grande produttore di gas, intende ridurre le emissioni del 25%. “La Middle East Green Initiative, guidata dall’Arabia Saudita lo scorso anno, ha annunciato l’obiettivo di ridurre del 60% le emissioni di carbonio dell’industria petrolifera e del gas della regione, sebbene non sia stata data alcuna scadenza”[6].
Tutto a favore di energie pulite. Grazie al loro posizionamento geografico, i Paesi del Medio Oriente sono favoriti nella produzione di energia solare tanto da spingere l’Egitto a costruire un impianto da 1.650 megawatt mentre il Qatar sta per completarne uno da 800 megawatt.
Non solo. Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti stanno spingendo per incentivare la produzione di idrogeno verde, utilizzando elettricità prodotta da fonti rinnovabili. A ciò si affiancano anche iniziative di rimboschimento e stoccaggio. C’è un ma…
Nonostante il grande impegno profuso, la produzione di petrolio continua e la guerra in Ucraina sta ostacolando questo processo di ‘dismissione’ dei carburanti fossili da parte dei Paesi del Medio Oriente, segnando, purtroppo, un profondo passo indietro.
[1] Sito ufficiale Cop27: https://cop27.eg/#/conference#sharm-el-sheikh
[2] Maurizio Bongioanni, “Cop27, a che punto siamo con i risarcimenti ai paesi vulnerabili?”, Lifegate, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.lifegate.it/cop27-risarcimenti
[3] Pia Sarkar, «Nazioni insulari che annegano: “Ecco come muore un atollo del Pacifico”, Associated Press, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://apnews.com/article/united-nations-general-assembly-drowning-island-nations-75f5390daf98d1d385da7dd4a869ae09?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=51eb4474d8-briefing-dy-20220927&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-51eb4474d8-46136706
[4] Elisabetta Gibney, “The Middle East is going green — while supplying oil to others”, Nature, 2022. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-022-03346-8?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=dec7e64416-briefing-dy-20221028&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-dec7e64416-46136706
[5] Ibidem, op. cit.
[6] Ibidem, op. cit.