di Elisa Mormone
Entrare in una classe e trovarsi, per la prima volta, dietro una cattedra non è mai semplice, a maggior ragione quando il ruolo da ricoprire è quello di docente di sostegno. Ripensi ai tuoi professori, a quelli dal 2 facile e a quelli simpatici, che ti consentivano di mettere i banchi in cerchio e confrontarti con i compagni.
Il loro lavoro ti è sempre sembrato molto semplice, ma adesso al loro posto ci sei tu.
24 ore fa ti è arrivata una chiamata da una scuola a 800 km da casa tua, hai buttato qualcosa in valigia, preso il primo Frecciarossa alla stazione, ieri sera hai dormito in un bed and breakfast vicino la scuola.
Al telefono ti hanno detto che sarai un docente di sostegno, ma tu non sai bene cosa significhi, hai accettato perché hai bisogno del punteggio in graduatoria e lì dove vivi tu, se vuoi accumularlo in una scuola privata, devi lavorare senza essere pagato, non avevi molta scelta. Che sarà mai alla fine? Quanto potrà essere difficile?
Docente di sostegno: il sistema italiano
Questa è la situazione tipica di fronte a cui si trova un docente alle prime armi: terminato il percorso accademico ha studiato per prendere tutti i titoli possibili per aumentare il punteggio, ma ha bisogno di insegnare per accumulare punteggio e salire in graduatoria, così da poter lavorare con contratti fino alla fine dell’anno scolastico e, nel caso dei docenti del Sud, poter avvicinarsi a casa.
A questo punto, vista la difficoltà di ottenere una convocazione, quella su una cattedra di sostegno rappresenta un’opportunità da tenere in considerazione. Cos’è, però, un docente di sostegno? Il docente di sostegno è una figura altamente specializzata e formata, introdotta nelle scuole di ogni ordine e grado sin dalla fine degli anni ’70 in Italia.
Il nostro Paese si dimostra avanzatissimo a proposito di questo tema rispetto a molti altri Paesi d’Europa e del mondo: i ragazzi BES (cioè con Bisogni Educativi Speciali di ogni genere, siano essi legati alla presenza di una disabilità certificata che ad una difficile condizione socio-economica o familiare) o con DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento, cioè con difficoltà di apprendimento legate alla Dislessia, Disgrafia, Disortografia o Discalculia) sono inseriti nel gruppo classe al pari di tutti gli altri compagni, non frequentano Classi Differenziate.
I docenti, insieme al docente di sostegno, attuano strategie didattiche innovative, che consentano a tutti i discenti di essere inclusi completamente nel gruppo, diventato protagonisti dell’azione didattica, portando avanti il proprio apprendimento in accordo con i loro punti di forza e le loro caratteristiche.
Docente di sostegno: il rispetto della Diversità
Il concetto di Inclusione è in Italia fondamentale: all’interno del gruppo classe si rispetta la “diversità” in tutte le sue sfaccettature. È compito del consiglio di classe tutto calibrare la propria azione didattica e creare un ambiente di apprendimento in cui a tutti gli alunni siano forniti gli strumenti e la libertà, l’apertura, il rispetto, che gli consentiranno di ottenere successo formativo.
Se in una classe è presente un alunno con BES destinatario dell’Articolo 3 della legge 104/92 alla classe è assegnato un docente di sostegno, per un numero di ore variabile da 3 a 18, a seconda delle necessità dell’alunno e della certificazione ASL. Il docente di sostegno avrà seguito un intenso percorso di formazione, che al momento risulta essere il TFA Sostegno, erogato dalle Università Italiane a seguito di una dura selezione in ingresso e dalla durata di un anno accademico.
A differenza di ciò che si potrebbe pensare, quindi, egli non è il “badante, l’infermiere o il baby sitter del ragazzo H” (termine desueto, oltre che orribile, che ancora circola all’interno di molti istituti scolastici). Egli è uno dei docenti della classe, la cui presenza affianca e “sostiene” l’intero gruppo classe per il raggiungimento della completa Inclusione di tutti gli alunni.
La gestione delle graduatorie a confronto con i bisogni educativi
Al momento, però, la richiesta di docenti di sostegno in Italia è talmente elevata che i percorsi di formazione previsti dalle università non riescono a soddisfarla. Ecco perché, esaurita la graduatoria di docenti Specializzati, molti istituti si trovano a dover convocare docenti laureati, ma non formati specificamente sul Sostegno. Ed eccoci tornati al nostro docente alle prime armi che, a 24 ore dalla telefonata e dopo svariate ore di viaggio, si ritrova in classe.
Il compito da ricoprire è molto delicato, sia sotto l’aspetto umano che professionale. Il lavoro di docente è di per sé legato al possesso di una certa empatia, alla capacità di accoglienza e di comprensione dei discenti, che racchiudono un mondo di difficoltà e insicurezze, e ciò a partire dall’infanzia. Se ci si deve poi confrontare con un ragazzo con disabilità, il lavoro si rivelerà ancora più delicato.
Non dimentichiamo poi di aggiungere le difficoltà di fronte a cui ci si potrebbe trovare a causa dei colleghi, che spesso e volentieri considerano il docente di sostegno come un “docente di Serie B” a cui delegare compiti scomodi e noiosi, un segretario a cui far fare le fotocopie e che non ha il diritto di intervenire durante la lezione, in quanto copre solo il “suo alunno”.
Se è vero questo, è pur vero però che è il docente di sostegno a dover acquisire una coscienza concreta ed operativa di quello che è il suo ruolo, vale a dire di componente del Consiglio di classe e docente della classe. Solo in tal modo la percezione dei colleghi cambia, e diventa in effetti ciò che sancisce la legge, vale a dire di docente al pari degli altri, anzi con un titolo di specializzazione in più.
L’agognato posto fisso
Per di più, a dispetto della grande modernità delle leggi relative ai BES e ai DSA, il sistema delle convocazioni consente a chiunque ne abbia il titolo della laurea di iscriversi in graduatoria, ciò significa trovare in classe docenti che fino al giorno prima svolgevano altri lavori e che non hanno alcuna propensione né interesse a ricoprire quel ruolo, ma che ambiscono al “posto fisso” di cui Zalone brillantemente parla nei suoi film.
Se poi si parla di posti sul sostegno, l’occasione diventa ancor più ghiotta: la grande richiesta di questa figura rende molto più rapide le convocazioni e più lunghi i contratti proposti. Un docente che riesca poi a superare le prove di ingresso del percorso di specializzazione, potrà verosimilmente sperare di ricevere una proposta per un contratto a tempo indeterminato in un tempo davvero molto breve, mediamente a due anni dalla fine del percorso stesso.
Docente di sostegno: oltre i luoghi comuni
Questo, ovviamente, significa che in moltissimi aspirino a questo ruolo per ragioni ben diverse da quelle legate ad una reale passione per questo lavoro. Non dimentichiamo poi di aggiungere i famosi “3 mesi di vacanze pagate” (che si riducono ai 30 giorni annuali di tutti gli altri lavori, ma di cui noi possiamo fruire solo nei momenti in cui il costo di un viaggio in Napoli-Roma è lo stesso di uno a New York con albergo a 5 stelle a Manhattan in un mese di bassa stagione) le “18* ore settimanali” (che tra riunioni, adempimenti e correzione/preparazione/ricerche, oltre che al carico mentale e la responsabilità di avere 20 minorenni sotto la nostra custodia sono forse anche peggio delle 40 dei lavoratori privati) e gli “stipendi altissimi” (che in città come Milano ti consentono al massimo di dividere una stanza con un’altra docente disperata come te e di mangiare una pizza nel weekend).
Insomma, noi docenti facciamo un bel lavoro, di cui certo non possiamo lamentarci e da cui, se fatto con passione e dedizione, traiamo grande soddisfazione personali e professionali. Siamo però una categoria soggetta spesso a illazioni, critiche e a cui ci si avvicina solo per avere “sicurezza” e “tranquillità”, senza avere alcuna coscienza della realtà di un istituto. Ci sarebbe da augurarsi, quindi, che si possa trovare una soluzione che non consenta a chi non ha la giusta motivazione, predisposizione, soprattutto formazione di entrare in classe. Quello del reclutamento dei docenti è in effetti un nodo ancora da sciogliere e definire meglio. Certo non possiamo dire che non sia cambiato negli anni, e ormai i docenti per accedere al ruolo devono avere non solo la laurea, ma almeno un titolo di specializzazione, più il titolo per il sostegno. Il nodo resta sempre legato al mondo del precariato cui il settore pubblico fa riferimento per sopperire la mancanza di personale. Chi ne fa le spese sono solo e sempre i nostri ragazzi.
*riguarda la scuola secondaria di primo e secondo grado. Il monte ore per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria è rispettivamente di 25 e 22 ore.