Nel corso di questi ultimi anni, ci si è spesso chiesti che impatto abbiano avuto la pandemia da Coronavirus e i conseguenti lockdown sulla salute mentale delle persone in tutto il mondo… A tal proposito, lo scorso 17 novembre, sulla rivista Nature, è stato pubblicato il più grande studio in materia salute mentale che sia stato condotto dall’inizio della pandemia[1].
I ricercatori hanno analizzato circa 8 milioni di telefonate alle helpline effettuate in ben 19 Paesi tra Stati Uniti, Cina, Libano e altri Stati europei. Si tratta di quei servizi telefonici concepiti per offrire un aiuto immediato a chi si trova in difficoltà. Ma cosa è emerso da questa importante indagine?
I perché dietro un gran bel numero di telefonate
Come ci si poteva aspettare, il volume delle telefonate alle helpline è di gran lunga aumentato soprattutto durante le prime 6 settimane della prima ondata dell’infezione da Coronavirus. Il picco massimo è stato raggiunto a quota +35% di contatti rispetto al periodo pre-pandemia. Ma (e questo risultato è stato forse più inaspettato) l’incremento di volume delle telefonate è stato guidato principalmente dalla paura del contagio, dalla solitudine delle persone, alla ricerca di qualcuno con cui poter parlare di quanto stava accadendo, e sì, anche dai dubbi riguardo la propria salute mentale.
Ancora più sorprendentemente, non è stata notata, invece, nessuna particolare crescita nel numero di chiamate operate per minacciare un suicidio o denunciare un abuso. A proposito del primo caso, ad esempio, è vero che in Francia e Germania ce ne sono state di più nel momento in cui i lockdown si sono allungati e irrigiditi, ma è anche vero che ce ne sono state subito di meno non appena lo Stato ha provveduto a disporre aiuti economici per la popolazione.
“Depressione all’italiana”
Secondo l’indagine sopra menzionata, dunque, il quadro della situazione a livello globale sarebbe in fin dei conti un po’ meno drammatico di quanto si potesse temere. Ma poi, ci si può continuare a chiedere… In quanti, però, non trovano il coraggio di chiedere aiuto, lasciandosi andare anche solo ad una più o meno semplice telefonata con un estraneo?
Le più recenti parole di Claudio Mencacci, co-Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, ad esempio, sono state molto meno rassicuranti, esprimendo grande preoccupazione soprattutto per i più giovani. Il Prof. Mencacci, medico psichiatra, ha infatti dichiarato che “la quinta ondata della pandemia in Italia è già in atto: è quella che affligge la mente. Non dei pazienti Covid, ma della popolazione generale, a partire dalle categorie più fragili, come le donne, gli anziani e i giovani, colpite dai principali fattori di rischio che sono l’impoverimento, la disoccupazione e l’isolamento”[2].
Nel nostro Paese, i casi di depressione sono aumentati del 26% dalla comparsa del Coronavirus, mentre quelli di disturbi d’ansia del 28%. Nel mondo intero, invece, sarebbero complessivamente raddoppiati. Quanto emerge da una metanalisi, condotta su un totale di 29 studi che hanno coinvolto circa 80000 ragazzi e pubblicata sulla rivista accademica Jama Pediatrics, è che 1 adolescente su 4 mostra i sintomi clinici della depressione, mentre 1 su 5 dà segni di disturbi d’ansia.
I pericoli della depressione in età adolescenziale
Questa diffusa apprensione proprio per i più giovani non è soltanto naturale, ma anche scientificamente giustificata. Come dimostrato da un altro studio pubblicato sul Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, che ha coinvolto 1500 tra bambini e adolescenti fino ai 30 anni, “la presenza di sintomi persistenti di depressione da giovanissimi si associa [infatti] a una vita adulta più difficile”[3]. Parole d’ordine: prevenire e curare.
Tuttavia, denuncia ancora il Prof. Mencacci, ancora oggi e proprio in questo delicato momento, in Italia mancano i professionisti e nell’ordine delle migliaia. Sarà stato giusto, allora, bocciare la proposta di introdurre nella legge di bilancio il cosiddetto “bonus psicologo”?
L’ultimo degli approcci alla cura, ovvero il boom della ketamine therapy
Trascinarsi i sintomi depressivi senza risolverli con un adeguato trattamento può comportare anche un rischio maggiore nell’uso irregolare di farmaci e nell’abuso di sostanze psicoattive. Ultimamente si sta infatti parlando anche di come, in America, sempre più persone abbiano (ri)scoperto nella ketamina – un farmaco anestetico – la via di fuga attraverso cui evadere dalla realtà pandemica. Tanto che la ketamina è stata eletta it drug d’uso personale di questa pandemia[4]. Anche se, l’uso di questo anestetico come terapia antidepressiva era diventato mainstream nel 2018, anno di pubblicazione del best-seller di Michael Pallen, dal titolo How to Change Your Mind.
La ketamina è stata sintetizzata per la prima volta nel 1962 dal chimico statunitense Calvin Stevens, consulente per l’azienda farmaceutica Parke-Davis, e sperimentata sugli esseri umani nel 1964 per opera di Edward Domino, che scelse come sue cavie i carcerati della Jackson State Prison, situata nel Michigan. Ne fece largo uso l’esercito americano durante la guerra in Vietnam, ma ancora oggi funge da farmaco anestetico utilizzato in particolari condizioni cliniche nei pronto soccorso di tutto il mondo.
Dalla parte della legalità
Sebbene induca fenomeni dissociativi, potendo scatenare una marcata attività onirica e una vera e propria psicosi allucinatoria, la ketamina è legale per uso medico. A differenza dell’LSD e dei funghi allucinogeni.
I suoi effetti antidepressivi furono testati per la prima volta a Yale, verso la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000. Utilizzandola per mimare i sintomi della schizofrenia la si è scoperta, invece, capace di migliorare l’umore delle persone. Nel 2010 dei medici iniziarono a raccomandarne l’uso off-label ad alcuni dei loro pazienti a più alto rischio suicidio. Poi, pian piano, furono inaugurate diverse cliniche specializzate nella sua somministrazione a scopi terapeutici, di cui la New York Ketamine Infusions, che fu una delle prime ad aprire, nel 2012.
Verso un uso terapeutico delle droghe psichedeliche
La comunità medico-scientifica è generalmente d’accordo sul fatto che la ketamina riesca ad alleviare i sintomi della depressione per un periodo di tempo dalla durata variabile di alcuni giorni o settimane. Anche se non c’è ancora una singola teoria comunemente accreditata che spieghi la maniera in cui riesca ad agire esattamente sulla depressione. Ce ne sono varie, la maggior parte delle quali si focalizza sui suoi effetti su alcuni dei ricettori cerebrali e sul glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale.
La ketamina, però, resta pur sempre una dirty drug. Se utilizzata correttamente, ovvero rispettando determinati intervalli di tempo, allora può essere efficace e sicura. Ma se assunta quotidianamente, ancor peggio se sniffata, può causare dipendenza, danni permanenti ai reni e al tratto urinario. Nei peggiori dei casi, può persino indurre alterazioni della memoria, con la possibilità di danneggiare sia quella a breve che quella a lungo termine. Nonostante il fatto che alcuni dichiarino che la ketamina abbia cambiato loro la vita, si tratta pur sempre di una soluzione per problemi di salute mentale non raccomandabile a tutti. Questo tipo di terapia sarebbe infatti più indicato per coloro che soffrono di un disturbo depressivo persistente e, soprattutto, di resistenza ai farmaci. Si faccia molta attenzione, dunque, a non cadere troppo ingenuamente nella trappola della moda.
Una questione aperta
Ci troviamo comunque di fronte a quella che si starebbe configurando come la nuova frontiera della cura della depressione. Anche il più grande studio clinico controllato randomizzato in doppio cieco mai condotto (ha coinvolto 233 partecipanti tra Europa e Nordamerica), promosso dall’azienda britannica Compass Pathways, ha concluso con successo la sua seconda fase di sperimentazione[5]. La ricerca questa volta non riguarda la ketamina, ma i funghi allucinogeni. Anche quest’ultimi, infatti, risulterebbero allo stesso modo altamente efficaci come trattamento per i casi più gravi e cronici di depressione. L’indagine, però, deve ancora andare avanti, anche perché quella del nostro essere pronti a fare buon uso delle droghe psichedeliche continua ad essere una questione aperta. Lo saremmo mai?
[1] Heide Ledford, “Millions of helpline calls reveal how COVID affected mental health”, Nature, 17 novembre 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.nature.com/articles/d41586-021-03454-x?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=e62a016717-briefing-dy-20211118&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-e62a016717-46136706.
[2] Barbara Gobbi, “La quinta ondata di Covid? È quella dei disturbi psichiatrici: casi raddoppiati tra gli adolescenti”, Il Sole 24 Ore, 27 gennaio 2022. Consultabile al seguente indirizzo https://www.ilsole24ore.com/art/la-quinta-ondata-covid-e-quella-disturbi-psichiatrici-casi-raddoppiati-gli-adolescenti-AEeorWAB?utm_term=Autofeed&utm_medium=FBSole24Ore&utm_source=Facebook#Echobox=1643274250.
[3] Ibidem.
[4] Emily Witt, “Ketamine Therapy Is Going Mainstream. Are We Ready?”, The New Yorker, 29 dicembre 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.newyorker.com/culture/annals-of-inquiry/ketamine-therapy-is-going-mainstream-are-we-ready.
[5] Olivia Goldhill, “Largest psilocybin trial finds the psychedelic is effective in treating serious depression”, Stat, 9 novembre 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.statnews.com/2021/11/09/largest-psilocybin-trial-finds-psychedelic-effective-treating-serious-depression/?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=807eba7ea9-briefing-dy-20211110&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-807eba7ea9-46136706.
Consigli sul tema
Autore articolo
Federica Fiorletta
Redattrice
Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.