«Nel pensiero occidentale la Cultura veniva vista come “prodotto” della Mente umana, là dove la Natura rappresentava quei “vincoli” biologici che in maniera trasversale sono alla base dei tre regni che costituiscono il mondo: minerale, vegetale e animale […]»[1].
La società su cui basiamo la nostra identità ci ha insegnato che scienza e sapere sono due facce della stessa medaglia.
Al contrario di ciò che accadeva nell’antichità e fino ai prodomi dell’Età Moderna (500-600) ove non vi era una scissione netta tra quella che veniva definita soprattutto in età medievale “filosofia naturale” e discipline di ordine umanistico, oggi quelle che noi chiamiamo scienze (STEM) – matematica, fisica, chimica, biologia, ecc. – sono considerate il vero sapere. Mentre, le discipline umanistiche, sono poste in una posizione quasi subalterna.
Ma ha ancora senso pensare al sapere scientifico ed umanistico come due entità separate e distinte? Le sfide della modernità ed il progredire delle tecnologie hanno posto in luce la necessità degli scienziati di approfondire, oltre le competenze scientifiche, anche il proprio sapere filosofico. Compiere delle scoperte non è un’azione neutrale. Comporta dei cambiamenti per la comunità ed è importante saperne individuare i risvolti etici. Sempre più scienziati che si affacciano al mondo della ricerca hanno un bagaglio di conoscenze ibrido, che unisce studio della filosofia e della scienza tout-court.
Filosofia ed epistemologia: uno sguardo al passato
Durante l’età classica, filosofi come Socrate, Platone e Aristotele credevano che l’uomo fosse dotato di una ragione dotata di categorie a priori, strumenti epistemologici in grado di condurre la conoscenza umana a gradi di verità oggettiva sempre più elevati, certi e enecessari (v. Metafisica aristotelica, o la stessa Logica)[2].
Il sapere epistemologico si propone proprio di indagare criticamente la struttura logica e metodologica delle scienze[3].
Il termine epistemologia venne coniato solo molti secoli più tardi da James Frederick Ferrier, filosofo scozzese dell’800 quando ormai il processo di separazione tra sapere scientifico e umanistico era già in stato avanzato.
“Nel momento in cui però, nell’età moderna, la scienza, in quanto insieme di conoscenze ricavate dall’esperienza e per essa valide, inizia ad indagare il campo della natura mediante strumenti matematici e avvalendosi di un metodo matematico sperimentale e non più di quello matematico-deduttivo dell’età classica, secondo cui invece era possibile pervenire all’essenza della realtà indagata mediante un’intuizione intellettuale, la filosofia, in quanto metafisica e teologia, si separa dalla scienza”[4].
È con Galileo Galilei, prima, e Isaac Newton che discipline come la fisica acquistano una propria indipendenza e valore scientifico, emancipandosi prima dalla teologia, ed in fine dall’approccio rinascimentale della filosofia naturale.
La grande differenza che sembra giustificare questa separazione sta nel metodo utilizzato per dimostrare ciò che abbiamo ipotizzato, e soprattutto la teorizzazione ed applicazione del metodo sperimentale da parte di Galileo. L’esperimento, dunque, figura essere l’elemento chiave del cosiddetto metodo scientifico. Gli oggetti che non possono essere frutto di una sperimentazione (come l’esistenza o meno di Dio) non possono essere considerati scienza. Ma davvero questo assioma può essere considerato ancora valido?
“[…] è proprio il pensiero scientifico a confutare se stesso oggi, con quello che possiamo definire il post-razionalismo e la moderna epistemologia evolutiva, in parte avallato anche dalla stessa fisica dei quanti, dove tale contrapposizione non ha più motivo essere […]”[5]. La scienza, da sola, non basta.
La filosofia della scienza
Cosa succede quando scienza e filosofia si separano? Secondo teorici moderni, soprattutto dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, è stata proprio la separazione tra queste due discipline a determinare gli abomini di cui siamo stati testimoni. L’Olocausto, che abbiamo ricordato proprio ieri con la Giornata della Memoria, la bomba atomica, gli stravolgimenti climatici, secondo Max Horkheimer e Theodor Adorno, non sono episodi casuali.
Nella prima metà del secolo scorso qualcosa è cambiato. La cosiddetta filosofia della scienza ha fatto capolino sul palcoscenico europeo. Tutto è nato dal Circolo di Vienna dove filosofi, logici e scienziati si incontravano con l’obiettivo di (ri)fondare la filosofia su basi solide, separandola dalle speculazioni metafisiche[6].
“I membri del Circolo intendevano la filosofia come analisi logica del linguaggio scientifico, ossia come vaglio critico delle asserzioni scientifiche sotto il preciso “bisturi” della logica simbolica. Lo scopo della filosofia, dunque, era la ricostruzione razionale delle teorie scientifiche sulla base del linguaggio in cui esse erano espresse”[7].
Uno dei principali esponenti, Karl Popper, è stato in grado di rimettere in luce l’importanza ed il contributo della filosofia all’interno della ricerca scientifica. Le procedure di controllo delle teorie ed ipotesi scientifiche non avvengono solo attraverso la logica deduttiva e l’empirismo; il ricercatore compie delle scelte.
Il contributo della filosofia alla ricerca scientifica
Dunque, in che modo e in che misura la filosofia ci rende scienziati migliori? Secondo coloro che hanno scelto di conseguire una formazione che contemplasse entrambe le discipline, la filosofia è una inesauribile fonte creativa. Aiuta gli scienziati a porsi in maniera critica e a cercare soluzioni insolite ad un problema di natura scientifica[8].
Non solo. Aiuta a valutare i risvolti etici di una scelta in ambito della ricerca: un tema già sollevato in precedenza quando abbiamo riflettuto sul caso dello scienziato che ha permesso la nascita di due bambine geneticamente modificate. O ancora, è considerabile una decisione etica quella di consentire la caccia dei lupi – quindi esseri senzienti – per spingere l’opinione pubblica ad insorgere a loro tutela? Per non parlare degli esperimenti compiuti su cavie umane con la compiacenza dell’intera comunità scientifica.
I pregiudizi e la segregazione non sono estranei al campo della scienza, per questo motivo è importante instaurare un dialogo che contempli un lessico comune anche tra discipline molto distanti tra loro per contribuire al raggiungimento di un risultato comune[9].
L’empatia e la comprensione reciproca possono aiutare allo svolgimento di un lavoro interdisciplinare: inutile denigrare altre discipline.
[1] Ciro Ferraro, “La contrapposizione tra natura e cultura”, psiconline, 2018. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.psiconline.it/articoli/discutiamone-insieme/natura-e-cultura-una-riflessione-ancora-attuale/la-contrapposizione-tra-natura-e-cultura.html
[2] Marta Della Manna, “Scienza e filosofia: unione o divisione?”, Festa Scienza Filosofia, 2016. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.festascienzafilosofia.it/2016/03/scienza-e-filosofia-unione-o-divisione/
[3] Epistemologia, definizione, Treccani. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.treccani.it/enciclopedia/epistemologia/
[4] Marta della Manna, op. cit.
[5] Ciro Ferraro, op.cit.
[6] Eduardo Peruzzi, “Thomas Kuhn e la filosofia della scienza. Dogma e rivoluzione”, Treccani, 2019. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/storia_e_filosofia/Rivoluzione/dogma_rivoluzione_scienza.html
[7] Eduardo Peruzzi, op. cit.
[8] Rasha Shraim, “How philosophy is making me a better scientist”, Nature, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-021-01103-x?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=1b7ea2be98-briefing-dy-20211230&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-1b7ea2be98-46136706
[9] Michael Paul Nelson, “Tips for collaborating with scientists, from a philosopher”, Nature, 2021. Consultabile al seguente indirizzo: https://www.nature.com/articles/d41586-021-02896-7
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Autore articolo
Martina Shalipour Jafari
Redattrice
Giornalista pubblicista ed esperta di comunicazione digitale.
Instancabile lettrice e appassionata di cinema.
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