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Matematica “Divina”: Dante, la Scienza e il Medioevo

La cultura, o meglio, le culture matematiche nell’opera dantesca e in particolare nella “Divina Commedia”

Dante Alighieri

di Marianna Esposito Vinzi

Leggere la Divina Commedia significa immergersi nel mondo medievale della Firenze del XIII secolo, ma non solo.

Per Hawkins, autorevole dantista americano, “l’opera di Dante è scrittura del mondo ed ogni scrittura su Dante diventa riscrittura del mondo”.

Questa frase indica quanto sia difficile sintetizzare il capolavoro assoluto che è la Divina Commedia: 14.233 versi organizzati in tre cantiche, un’opera monumentale, scritta in un italiano che sostanzialmente poco è mutato in 700 anni di storia, opera che fonde con un sincretismo geniale tradizione antica e cultura medievale, scritti biblici e autori latini, letteratura e filosofia, scienze naturali e conoscenze geografiche, politica e storia, mondo cristiano e mondo pagano, il mondo lontano del mito e quello immediato della cronaca contemporanea.

L’oltremondo dantesco e la simbologia matematica

La Divina Commedia è un “poema sacro” che narra la vicenda spirituale di un poeta alla ricerca della verità. Perso in una selva oscura, nella selva del male e delle tenebre, Dante non si isola dall’umanità ma raffigura se stesso in cammino e con lui tutto il genere umano che, in un mondo decaduto nel disordine morale e civile, desidera “riveder le stelle”, cerca la luce e il sole.

Il sole (secondo il sistema aristotelico-tolemaico vigente a quel tempo, immaginato girare da est a ovest intorno alla terra), quel sole che illumina l’uomo, “porta significatione” di Dio, come riportato nel Cantico di frate sole di San Francesco d’Assisi, composto nel 1224. 

È nella luce che, per Dante, si articola l’universo: nel Paradiso l’occhio discerne il sole, “lucerna del mondo, e l’universo fisico e l’universo morale concordano nell’ascesa al Paradiso in quanto manifestazione gloriosa dell’opera di Dio.

E Dio è luce che contempla la propria essenza nella sua divina perfezione, “mirare ne la luce che sola sé medesima vede compiutamente”, come si evince dal secondo trattato del Convivio.

Il tessuto ideologico della Divina Commedia di Dante poggia su una originale concezione strutturale dell’oltremondo, pur se aderente alla cosmologia tolemaica e alla Bibbia. Tutta dantesca è l’idea di un Inferno collocato nel baratro scavato da Lucifero e dagli angeli ribelli quando, scacciati dall’Empireo, precipitarono con violenza sulla terra collocata al centro dell’universo. E la purificazione dal peccato, già avviatasi nel Purgatorio, si concluderà nel Paradiso Terrestre, laddove l’anima purificata dalle tenebre del peccato potrà godere per l’eternità della visione di Dio.

Ma non solo le tenebre, la luce e il sole, anche l’aritmetica, la geometria, il calcolo e la logica matematica hanno un ruolo importante nella Divina Commedia.

Nei simboli matematici il poeta fiorentino trova la chiave per immaginare la struttura dell’aldilà, dell’oltremondo, in linea con le conoscenze cosmologiche e la fede teologica del tempo, allo scopo di ricondurre l’umanità alla salvezza laddove la matematica fornisce chiari esempi di verità e certezze, e allo stesso tempo segna i limiti della ragione umana.

La matematica tra astrazione e concretezza

In Dante e nelle sue opere confluiscono due diverse culture matematiche. Il poeta attinge a piene mani al sapere del suo tempo, alle conoscenze matematiche dotte dei sapienti che rileggevano la tradizione pitagorica e platonica alla luce del messaggio cristiano, ma anche alla matematica pratica e concreta dei calcoli dei mercanti, delle operazioni commerciali di acquisto e vendita dei beni, delle costruzioni, della misurazione dei terreni, della vita pratica e materiale insomma.

Dunque, nella Divina Commedia confluisce una matematica alta, quella dei filosofi che speculavano in modo sofisticato  sul mondo, sulla sua creazione e sul destino degli uomini e una matematica per così dire bassa, quella del calcolo dei mercanti e della vita economica e sociale dell’uomo del XIII secolo.

Dante Alighieri

Dante, nella sua Divina Commedia, ricorre alla matematica dotta per dimostrare l’idea centrale del suo pensiero, ossia che l’universo ha un suo ordine voluto da un progetto divino, come possiamo leggere in Paradiso I, versi 103-105, “Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa somigliante”, un universo che va compreso, allo stesso tempo, con gli strumenti della ragione matematica e della teologia. 

Era convinzione diffusa tra gli intellettuali dell’epoca che i numeri fossero portatori di un significato mistico ed esoterico, capaci di svelare all’uomo il progetto divino del creato. Il pensiero matematico platonico e pitagorico arriva a Dante rivisitato dai pensatori cristiani, che lo elaborarono alla luce di quanto la Bibbia affermava su Dio, colui che ha “disposto con misura, calcolo e peso tutto il creato”, come si evince nella Bibbia dal Libro della Sapienza, XI 21.

Ma non è, quella di Dante, la matematica che noi tutti abbiamo appreso a scuola, o quella che utilizziamo per contare e per fare le operazioni matematiche: la matematica pitagorica è un’arte puramente speculativa, molto vicina alla filosofia, il cui dogma di partenza è che tutta l’essenza del creato va ricondotta a numeri e a rapporti tra numeri, per cui conoscere i numeri, le loro proprietà e le loro relazioni è lo strumento per riuscire a comprendere i segreti dell’universo e per svelare a noi esseri umani il progetto divino di Dio, del creato e dunque dell’uomo.

Ogni esperienza terrena per Dante è metafora per descrivere un’esperienza ultraumana, divina dunque, in quell’universo mistico in cui dimora Dio, che è centro e circonferenza che tutto contiene e che è origine di tutto.

L’universo è un cerchio “e lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente, e però è impossibile a misurare a punto”: è la famosa quadratura del cerchio laddove, per la sua natura, il cerchio ha una superficie che non può essere espressa da un valore numerico preciso (Convivio, trattato secondo).

La cultura matematica di Dante non si esauriva, però, con gli insegnamenti pitagorici, poiché vi era anche la cultura del calcolo da tenere presente, quella matematica dei “subiti guadagni”, che veniva da una società fiorentina in piena trasformazione, caratterizzata dalla nascita delle grandi banche, dalla nuova borghesia mercantile, dalla fioritura dei commerci, dalle opportunità offerte dalle rotte commerciali con gli scambi di beni e merci e dall’arrivo di capitali, non solo dalle altre regioni d’Italia ma anche dall’estero.

Nell’esperienza poetica di Dante rientra, dunque, tutto l’universo intellettuale del Basso Medioevo. 

I limiti della matematica

Dante stabilisce che la filosofia è la conoscenza scientifica che, per il lume naturale della ragione, considera le cause prime e le ragioni più alte delle cose, mentre la teologia, distinta ma non separata dalla filosofia, è quanto conosciamo mediante la rivelazione divina. La ragione, seguendo la via indicata dai sensi, non sempre raggiunge la verità, poiché l’esperienza dei sensi ha dei limiti.

La mente umana non riesce a percepire l’infinito e Dante ha compreso chiaramente che non è il luogo a formare la felicità, ma il possesso di Dio in base al merito e alla ricettività delle nostre anime. 

Per Dante la verità alberga nell’alto dei cieli, oltre le umane contraddizioni, e si irradia sulla terra, percepita da chi sa comprenderla e tradurla in imperativo morale.

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