Il tasso di obesità è in crescita non solo negli Stati Uniti – dove nel 2018 era pari al 42% della popolazione adulta (più del 30% rispetto al ventennio precedente) – ma anche negli altri paesi del mondo.
Negli ultimi tempi, però, medici e ricercatori si stanno adoperando non per minimizzare l’allarme, ovviamente, ma per far sì che si inizi a smettere di “demonizzare” il grasso, sempre e comunque.
Essere obesi, infatti, non significa necessariamente essere malati, ragion per cui è importante – anzi, doveroso – valutare singolarmente ogni caso, approcciandovisi senza pregiudizi.
Grasso da laboratorio
Il laboratorio di ricerca del Southwestern Medical Center, guidato dal Prof. Philipp Scherer, presso la University of Texas, è riuscito a dar vita ai topi più grassi del mondo, per un peso di 130 gr circa: l’equivalente, in un essere umano, di oltre 270 kg.
I topi – spiega l’autrice di un articolo pubblicato su Science[1] – sono nati da genitori ingegnerizzati. Alcuni di questi erano stati concepiti in modo tale da non essere in grado di produrre e rilasciare leptina, l’ormone regolatore dell’appetito, mentre altri lo sono stati, invece, per sovraprodurre adiponectina, l’ormone responsabile di una buona salute metabolica.
Dall’incrocio dei suddetti topi, ne sono nati di terribilmente grassi, come anticipato, ma anche di inaspettatamente sani. Sebbene obesi, infatti, a differenza di altri esemplari leptino-deficienti e a differenza anche di essere umani con lo stesso deficit congenito, i topi da laboratorio del Prof. Scherer hanno mantenuto un buon livello di glucosio nel sangue, senza sviluppare colesterolo cattivo né malattie metaboliche, come il diabete di tipo 2.
Tuttavia, a dispetto delle loro buone condizioni di salute, proprio per via del loro eccessivo peso e, dunque, della loro pessima capacità di equilibrio, i topi, spesso ribaltati a pancia in su o incastrati, sono per lo più morti di disidratazione.
Una storia senza lieto fine, quella del laboratorio texano, ma comunque con una sua morale, anche piuttosto importante: peso e salute non vanno necessariamente di pari passo.
Vivere in una società grassofobica
Abbiamo a che fare con un nuovo campo di ricerca medico-scientifica, che studia una condizione non ancora ben definita, ma apparentemente molto comune tra gli esseri umani: l’MHO, ovvero la metabolically health obesity (l’obesità metabolicamente sana).
Purtroppo, però, la nostra stessa società sembra ostacolare questa volontà – che è anche un bisogno – di approfondimento. Così, le persone obese, tendenzialmente discriminate, possono facilmente ritrovarsi tormentate dagli stessi medici, che molto spesso, infatti, finiscono per ridurre un qualsiasi indizio di cattiva salute ad un problema di peso, senza preoccuparsi di indagare oltre. Il peso costituisce un vero e proprio stigma sociale, per cui ancora troppo frequentemente si viene trattati con superficialità.
L’invito a dimagrire, che risuona martellante nelle nostre orecchie, può, in alcuni casi, essere fuorviante e, dunque, controproducente. Laddove si tratta realmente di cattiva salute, infatti, possono essere entrati in gioco anche altri fattori, magari più “pesanti”, per l’appunto, come quello socio-economico, che può limitare l’accesso al cibo buono e salutare.
Sì, “l’origine del male” è ad esempio imputabile alla povertà e ci sono degli studi a dimostrarlo, che spesso le persone obese, ma in buona salute, versano in condizioni socio-economiche decisamente migliori di quelle che oltre che obese sono anche malate.
Altra imputata, l’etnia: gli originari dell’Asia meridionale, infatti, sarebbero maggiormente predisposti al diabete rispetto ad altre popolazioni, al di là della loro forma fisica.
Tuttavia, sebbene peso e salute non vadano necessariamente di pari passo, non si può nemmeno negare che un peso elevato possa compromettere più facilmente le condizioni di salute di una persona. Apnea ostruttiva del sonno, cardiopatia, cancro, diabete di tipo 2, ictus, osteoartrite… È bene non sottovalutare l’entità dei rischi e dei pericoli che si possono incontrare.
Quale grasso?
Quello dei topi del Southwestern Medical Center era sostanzialmente grasso sottocutaneo e non viscerale, meno pericoloso di quest’ultimo poiché non intaccante i muscoli e gli organi, come fegato e pancreas.
Rispetto al secondo (associato all’insorgere di infiammazione), il primo, infatti, costituisce una riserva energetica e funge come da cuscinetto a protezione di muscoli ed ossa.
È per questo che essere leggermente in sovrappeso, rispetto all’avere una corporatura esile, può aiutare a guarire da un cancro, ad esempio. Il grasso non è nostro nemico, in una certa misura ne abbiamo anche bisogno. Ma attenzione, perché comunque abbiamo bisogno del grasso “giusto”.
Medici e ricercatori che si occupano di MHO non vogliono di certo far passare il messaggio che essere obesi possa essere ok. Il problema dell’obesità sussiste e persiste, tanto è vero che la regola del “muoviamoci e alleniamoci” resta pur sempre valida. L’invito, però, è a non limitarsi al visibile, a non guardare solamente i numeri sulla bilancia, e a “dar peso” anche ad altro.
[1] Jennifer Couzin-Frankel, “Obesity doesn’t always mean ill health. Here’s what scientists are learning”, Science, 29 luglio 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.sciencemag.org/news/2021/07/obesity-doesn-t-always-mean-ill-health-here-s-what-scientists-are-learning.
Consigli sul tema
Autore articolo
Federica Fiorletta
Redattrice
Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.