Sono passati mesi ormai, da quando il film della cino-americana Chloè Zhao ha vinto l’Oscar come miglior film. Ma lo è davvero? Nomadland non è un film come siamo soliti chiamare le pellicole che proiettano nei cinema o che pubblicizzano con trailer accattivanti. Con uno stile più vicino al documentario, Nomadland è un manifesto che pone delicatamente i puntini sulle ‘i’ riguardo alcune questioni sociali, politiche ed economiche, offrendoci una prospettiva non tanto originale quanto dimenticata: non esiste un solo modo di vivere la vita.
Nomadland: la vita oltre le regole della società
Tra distese sconfinate di sabbia o ghiaccio, treni cargo che attraversano Paesi infiniti, strade dritte, che sembrano arrivare ai confini inesistenti del mondo, si dipana la storia di Fern, che ci fa da guida spirituale all’interno di una comunità che altrimenti non saremmo in grado di comprendere.
Dopo la morte del marito e la successiva chiusura della fabbrica in cui lavorava nella città di Empire, durante la Grande recessione, decide di spogliarsi di tutte le cose materiali che ritiene superflue e di partire per un viaggio insieme al suo furgone.
In una nuova vita priva di punti di riferimento e di un futuro chiaro, Fern trova accoglienza in una comunità nomade.
Le comunità nomadi sono una realtà radicata nella storia americana (i personaggi che incontriamo man mano nel film non sono attori, bensì membri effettivi di questi gruppi), ma non dobbiamo commettere l’errore di paragonarle a chi è traveler per cultura. Il film ci mostra come alcune persone, per ragioni uguali o diverse, abbiano scelto di condurre una vita ai margini di un sistema che non ha spazio per loro.
Così, tutto quello che resta da fare è scrollarsi di dosso i rimasugli di un’esistenza in cui non è più possibile riconoscersi o con cui non si è più in grado di convivere, e cercare la serenità altrove, sosta dopo sosta, in un mondo in cui non si ha più nulla da perdere.
Nomadland ed i road movie
Si potrebbe associare Nomadland alla sfilza di film road movie in cui la ricerca incessante di un cambiamento e gli spostamenti on the road, conducono i protagonisti a una cruciale svolta. Affascinanti e bellissimi, Easy Rider, Thelma & Louise, Into the Wild, o i più recenti Wild e Green Book, hanno tutti in comune la ribellione iniziale contro l’omologazione e l’epifania conclusiva che porta a una rivoluzione interiore.
Tuttavia, seppure con evidenti caratteristiche tipiche dei road movie, la pellicola di Zhao si differenzia non solo per lo stile, ma soprattutto per l’espediente narrativo del viaggio che, in questo caso particolare, non mira al raggiungimento di una qualche meta fisica o di uno stato psicologico, come la felicità, che qui è decisamente rivalutata come condizione non necessaria. Non c’è evoluzione o involuzione del personaggio. Il viaggio è solo viaggio.
Il riscatto di una antieroina
La coraggiosa interprete di tutto questo non poteva che essere Frances McDormand, dea indiscussa del “realismo cinematografico”. Un’attrice che non ha bisogno di parlare per farsi capire, non ha bisogno di luci per brillare, o di una toccante colonna sonora per trasmettere delle emozioni.
Il fatto stesso di non voler scendere a patti con le soffuse regole dello Star System e di mostrarsi al mondo, durante la notte più cool dell’anno, come una persona qualsiasi ad una festa, la rende combattiva, politica, schierata, senza ostentare prese di posizione o orientamenti di alcun tipo.
Per lei, dare voce a personaggi liberi, come Mildred Hayes (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri), oppure Jane (This must be the place) è dare voce a se stessa.
Ma c’è una cosa che viene da chiedersi guardando Nomadland. La libertà altra, quella che abbatte il muro del capitalismo e di stilemi sociali, che non vincola alla sfibrante ricerca della felicità, si conquista solo nel momento in cui si perde tutto ciò che si ha?
Forse è una domanda che non ha ragione di esistere. Ma quando si viene in contatto con storie del genere non si può fare a meno di immaginarsi liberi allo stesso modo, completamente nudi e abbandonati allo scorrere dell’acqua fresca di un fiume, completamente se stessi.
Nomadland è una pellicola che andrebbe rivista con cadenza regolare, perché ci ricorda non solo che il mondo è un posto meraviglioso, ma che nella vita abbiamo sempre la possibilità di scegliere.
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Autore articolo
Sara Giovannoni
Redattrice
Copywriter pubblicitario, cinefila, nerd.
Cerco di vivere la vita sempre con la curiosità e lo stupore di un bambino.
Amo scrivere delle cose che mi appassionano,
ecco perché spero di pubblicare, prima o poi, il mio libro sul Giappone.
Intanto keizoku wa chikara nari.
Se volete, andate a cercare il significato!