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Sommersi da un mare di rifiuti: la decadenza delle spiagge italiane

I risultati dell’indagine Beach Litter ci mettono di fronte ad una realtà piuttosto raccapricciante

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Lo scorso maggio, l’associazione Legambiente ha reso noti i dati raccolti con l’indagine Beach Litter, “una delle più grandi esperienze di citizen science a livello internazionale”[1], condotta nell’ambito dell’iniziativa Marine Litter Watch dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, allo scopo di realizzare uno dei più grandi database sui rifiuti spiaggiati a livello europeo.

Un’indagine dai risultati davvero raccapriccianti, che ci fa temere persino peggiori condizioni per le spiagge italiane al termine di questa stagione estiva.

Ma tutto dipende da noi. Davvero non ci importa proprio nulla? Con quest’articolo, vogliamo provare a fare un tentativo, nella speranza che più consapevolezza possa equivalere a più responsabilità.

In fin dei conti, si tratta di spirito di sopravvivenza!

Quanti rifiuti in spiaggia?

Sono 47 le spiagge monitorate dai volontari di Legambiente, in 13 regioni italiane: Abruzzo, Basilicata, Toscana, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Veneto. 36821 i rifiuti censiti in un’area totale di 176 100 mq, per una media, dunque, di 783 rifiuti ogni 100 m lineari di spiaggia.

Rifiuti_Spiaggia

Orbene, il valore soglia a livello europeo per considerare una spiaggia in buono stato ambientale è pari a meno di 20 rifiuti spiaggiati ogni 100 m lineari di costa.

Non tate provando anche voi un certo senso di raccapriccio?

Quali rifiuti?

Di ogni tipo e di ogni forma, per lo più usa e getta: contenitori vari, bottiglie e tappi, mozziconi di sigaretta, calcinacci e frammenti di vetro, dischetti utilizzati come biofilm carrier nei depuratori, guanti e mascherine.

La plastica, ovviamente, regna sovrana, e di questo non ce ne stupiamo affatto: su ⅓ delle spiagge italiane si tratta del 90% – se non oltre! – dei rifiuti monitorati.

Il 72%, invece, sono rifiuti che hanno a che fare con l’emergenza sanitaria da COVID-19: mascherine, guanti, ma anche altro. Mascherine soprattutto, che da sole, infatti, ammontano ad una percentuale pari al 68% (un altro fatto, purtroppo, abbastanza prevedibile).

La direttiva europea sui rifiuti in plastica monouso

Inquinamento da plastica in mare e sulle spiagge e crisi climatica: sono queste le due grandi questioni ambientali al centro dei dibattiti politici internazionali. A proposito della prima, entrando nel merito della direttiva europea, la cosiddetta SUP (dall’inglese “Single Use Plastics”), quest’ultima prevede di, tra le tante misure:

  • far coprire ai produttori di sigarette – data l’onnipresenza di mozziconi su qualsiasi spiaggia, ovunque in Europa – i costi di gestione e bonifica e quelli di sensibilizzazione;
  • introdurre l’obbligo, a partire dal 2024, di produrre bottiglie con tappi attaccati per evitare che questi si disperdano troppo facilmente;
  • raccogliere il 90% di bottiglie (tappi e anelli inclusi) e contenitori in plastica entro il 2025 (sulle spiagge monitorate ne sono stati trovati oltre 5000);
  • riciclare almeno il 77% delle bottiglie per bevande entro lo stesso anno (poi il 90% al 2030);
  • produrre bottiglie in plastica con un contenuto minimo di materiale riciclato pari al 25% sempre entro il 2025 (poi il 30% al 2030).
Rifiuti_Plastica

Il bando dell’UE è ufficialmente entrato in vigore in tutta Europa e, dunque, anche in Italia a partire dallo scorso 3 luglio: da una parte, niente più produzione di oggetti in plastica monouso laddove sul mercato c’è un’alternativa economicamente accessibile e solo smaltimento delle scorte (vale per posate, piatti, cannucce ecc.); dall’altra, riduzione dei consumi, schemi di etichettamento e responsabilità estesa per i produttori (vale per attrezzi da pesca, filtri per tabacco, articoli sanitari ecc.).

Il triste primato dei rifiuti italiani

Prima dell’allarme lanciato da Legambiente, era già arrivata la denuncia dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (l’International Union for Conservation of Nature o IUCN), con la pubblicazione, nel 2020, del report The Mediterranean: Mare Plasticum.

Con 34 mila tonnellate di rifiuti annui, l’Italia è al secondo posto nella top 3 dei Paesi che inquinano di più il Mediterraneo, dopo l’Egitto (85 mila tonnellate) e prima della Turchia (24 mila tonnellate).

La plastica arriva dai detriti degli scogli e dalla sabbia delle spiagge, dai sedimenti sui fondali marini e dalle plastiche e microplastiche  ingerite dagli animali.

A detta di varie associazioni ed organizzazioni, però, nonostante la drammaticità della situazione, l’Italia si starebbe impegnando ancora troppo poco per il recepimento della direttiva europea e per proprio conto, quando, al contrario, servirebbero delle misure drastiche e tempestive.

Attendendo un adeguato intervento da parte delle Istituzioni, possiamo in ogni caso, ciascuno di noi, impegnarci per migliorare nel nostro piccolo e da qui iniziare a fare una grande differenza.


[1] “Indagine Beach Litter”, Legambiente, 12 maggio 2021. Consultabile al seguente indirizzo https://www.legambiente.it/rapporti-in-evidenza/indagine-beach-litter/.

Autore articolo

Federica Fiorletta - autore

Federica Fiorletta

Redattrice

Laureata in Lingue, Culture e Traduzione Letteraria. Anglista e francesista, balzo dai grandi classici ottocenteschi alle letterature ultracontemporanee. Il mio posto nel mondo è il mondo, viaggio – con il corpo e/o con la mente – e vivo per scrivere.

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